i type 210 ula (sempre per la norvegia) misuravano 59 metri con un diametro di 5.4 e un dislocamento di 1150 tonnellate. la propulsione diesel-elettrica era costituita da due diesel mtu 16v da 970kw e un motore elettrico shp6000 e poteva raggiungere i 23 nodi in immersione. la profondità massima superava i 200 metri.
tutti i battelli elencati furono delle tappe intermedie realizzate al fine di superare finalmente i limiti del passato progettando un sottomarino radicalmente diverso e innovativo. l’ing. gabler, nato nel 1913, aveva partecipato agli innovativi progetti dei tipo xxii, xxvi e xvii oltre agli studi condotti con la propulsione walter di cui abbiamo già parlato in sopra e sotto le onde. gabler si ritirò nel 1978 dalla attività e il progetto dei 212 rappresentò un notevole sforzo progettuale visto che nacque “orfano” del maggior esperto tedesco in materia sommergibilistica.
anche all’italia sconfitta, nonostante la lunga cobelligeranza con gli alleati, furono imposte pesanti sanzioni al termine del conflitto. tutte le unità subacquee sopravvissute alla seconda guerra mondiale dovettero essere distrutte o consegnate agli alleati. due sommergibili vennero assegnati alla francia, il giada (classe acciaio) e il vortice (classe flutto) che però non vennero ritirati. la nascente marina militare italiana, convinta della necessità di continuare ad acquisire esperienze sommergibilistiche, pensò bene di reintegrare le due unità. fortunatamente anche gli italiani si adoperarono per escogitare qualche astuzia che consentisse di non disperdere il sacrificio di coloro che si erano immolati durante il conflitto. per aggirare i divieti, con il tacito assenso degli alleati, i battelli furono inquadrati come “pontoni per la carica delle batterie” e dislocati a taranto dove poterono continuare ad addestrare gli equipaggi. così la subacquea, nonostante le ovvie difficoltà, riuscì a sopravvivere.
l’errore fu commesso in seguito…
negli anni 50 infatti la marina militare, ormai sulla via della piena integrazione nella alleanza atlantica, ricevette dagli stati uniti due sommergibili classe gato che vennero ribattezzati “tazzoli” e “da vinci”. dimostratisi eccellenti mezzi addestrativi, dal basso costo e affidabili, fu del tutto naturale continuare ad acquisire sommergibili ex statunitensi per i successivi venticinque anni. questa logica si sarebbe invece dimostrata errata e finì con determinare il rapido declino della tecnologia subacquea italiana. quando poi ci si accorse di questo si cercò di correre ai ripari così vennero realizzati i quattro piccoli “toti” degli anni sessanta. seguirono alla fine degli anni settanta i primi due “sauro” che portarono, con un notevole sforzo tecnico-economico, la tecnologia subacquea italiana al pari delle altre marine europee contemporanee.
si cominciò allora a pensare ad un sottomarino dalle caratteristiche più avanzate denominato “s85” ma, per non accumulare un ulteriore ritardo nell’ammodernamento della flotta sottomarina, mentre i due sauro erano ancora in costruzione si decise di impostarne altri due.
nel frattempo ci si rese conto che per i battelli ex statunitensi era giunto il momento della radiazione così nacque la terza serie dei sauro. furono apportate alcune modifiche al progetto iniziale senza comunque appesantirne i costi e allungare i tempi di costruzione. intanto il nuovo sommergibile allo studio era stato ribattezzato “progetto s90” ma i toti erano giunti alla fine della loro carriera e l’s90 necessitava ancora di una lunga gestazione. per questo venne decisa la costruzione della quarta serie dei sauro.
quando agli inizi degli anni 80 si iniziò a valutare i requisiti operativi di una nuova classe di sottomarini con cui sostituire gli otto “sauro” una volta che fossero giunti al termine della propria vita operativa, ci si rese conto di quanto grave era il ritardo tecnologico rispetto a quanto avveniva nelle nazioni concorrenti e fu constatato che per colmare il gap sarebbe stato indispensabile un enorme sforzo finanziario. per questo motivo venne abbandonato il progetto s90 il cui costo stimato per la prima unità, che comunque avrebbe avuto caratteristiche già superate ancor prima di entrare in servizio, superava i mille miliardi di lire.
nel frattempo la germania portava avanti con successo la progettazione di nuove unità subacquee e potersene avvalere avrebbe consentito notevoli economie oltre ad una reciproca assistenza logistica e addestrativa.
se guardiamo all’aspetto tecnico, si nota come gli otto sauro costruiti tra il 78 e il 95 rappresentarono un grande balzo in avanti rispetto ai piccoli toti (il cui progetto era comunque di origine tedesca). se ne differenziavano essenzialmente per le dimensioni, per la diversa compartimentazione interna, per gli impianti di bordo. per la loro epoca erano progetti assolutamente in linea quando non addirittura innovativi. adottavano un impianto snorkel con testa fluttuante e un autopilota ferranti controllabile da un solo uomo. gli otto sottomarini furono costruiti in quattro serie consecutive ognuna delle quali introduceva miglioramenti tecnici e operativi.
alla fine del duemila i quattro battelli più recenti (prini, pelosi, longobardo e gazzana), furono sottoposti a “grandi lavori” che comportarono la sostituzione del sonar, del sistema di comando e controllo, della centrale di lancio dei siluri, della centrale radio e del sistema di governo. questi ammodernamenti consentirono di far fronte agli impegni conseguenti ai fatti dell’11 settembre ma a lungo termine mostrarono come i sottomarini denunciassero i segni del tempo. in particolare la propulsione diesel-elettrica, l’assenza di sistemi di riduzione della segnatura acustica e termica, il sonar a bassa frequenza e, i periscopi privi di camera termica, li rendevano inesorabilmente obsoleti ad operare con capacità stealth.
purtroppo come già detto dopo la progettazione dei sauro lo sviluppo della nostra tecnologia subacquea venne nuovamente abbandonato ripetendo l’errore già commesso.
e mentre altre nazioni come svezia e germania compivano progressi significativi nel campo della propulsione anaerobica aip, l’italia accumulava un grave ritardo tecnologico che solo recentemente si è cercato di colmare con la costruzione su licenza degli “u212” di progettazione tedesca.

(segue...)