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il confronto
come ogni tentativo di innovazione, anche il programma lcs suddivise gli esperti in due gruppi. il primo, favorevole, vedeva nelle littoral la rinascita delle “motocannoniere” e delle “motosiluranti”, unità piccole, agili, in grado di ottenere un elevato grado di “sea control” in acque costiere anche avversarie. il secondo gruppo, quello degli ostili, riteneva che il progetto di realizzare oltre 50 unità richiedesse una spesa eccessiva rispetto ai risultati conseguibili, soprattutto se si teneva conto di dover realizzare due prototipi totalmente differenti e quindi già di per se, costosissimi.
comunque, considerando che si trattava essenzialmente di due prototipi, fu possibile tracciare dei primi bilanci sulle soluzioni offerte. dopo una lunga sperimentazione, si decise di proseguire con il programma senza comunque decidere per una delle due soluzioni ma ordinando ai due consorzi le lcs n° 3,5,7,9 e 11 del tipo freedom e 4,6,8,10 e 12 del tipo indipendence.
nel gennaio 2014 il numero totale fu definito in 32 unità.
partiamo dalla analisi della “mission bay” che è la caratteristica funzionale che dovrebbe contraddistinguere le lcs rispetto alle altre unità. la freedom dispone di una area di 580 m2 suddivisa in tre aree, ulteriormente suddivisibili mediante paratie scorrevoli, di cui una ha accesso al mare mediante un portellone poppiero e uno sulla murata di dritta. la indipendence dispone invece di ben 1370 m2 non suddivisibili, sollevata rispetto al mare e quindi, “asciutta”.
il ponte di volo della freedom misura 595 m2 ed è più ampio di qualsiasi altra unità in servizio (escluse naturalmente le “tuttoponte” come le portaerei) ma quello della concorrente è ben 1030 m2 ma dispone di un hangar più piccolo (315m2 contro 420m2).
le velocità massima si equivale ed è intorno ai 45 nodi ma la indipendence, grazie a consumi inferiori, ha una maggiore autonomia.
le stazioni controllo danni sono 3 sulla freedom e 2 sulla indipendence.
i sistemi di controllo della propulsione sono simili con una disposizione sulla freedom più tradizionale. entrando in plancia si nota una certa familiarità tra le due soluzioni.

entrambe dispongono di 3 consolle multifunzioni e godono di una eccellente visibilità grazie alle ampie finestrature anche se sulla indipendence è impossibile vedere la prora per via della torre del cannone. qualche critica è venuta dalle dimensioni dei due scafi, praticamente quelle di una fregata convenzionale, ma queste sono determinate dalla necessità di garantire autonomie di almeno 4000 miglia e un buon comportamento anche con mare grosso.
le manovre di ormeggio risultano più difficoltose sul trimarano per via della imponente larghezza e per l’assenza delle alette di plancia anche se il propulsore prodiero aiuta. i locali sono più spaziosi sulla freedom mentre sulla indipendence possono essere imbarcate più persone.
il comportamento in mare è simile nelle evoluzioni ad alta velocità.
per entrambe si sta valutando la possibilità di sostituire l’arma da 56/70 bofors, con il più performante oto 76/70, sostituzione che sulle freedom non presenta particolari difficoltà, più complessa invece sulla indipendence.
la freedom ha effettuato le prime prove in mare nel luglio del 2008. in realtà le stesse si sono svolte nel lago michigan, dove si trova il cantiere, con riscontri positivi. il programma di prove ha valutato manovrabilità, velocità massima, sistemi di potenza e navigazione, lancio e recupero di scialuppe di salvataggio, sistemi di comunicazione e missione ed altri aspetti della nave.
la indipendence ha completato le prove nell’ottobre 2009 e si è sviluppata con oltre 50 test sia sullo scafo che sui sistemi. in particolare la nave ha raggiunto e mantenuto una velocità costante di 44 nodi. sono state condotte prove con onde di 2,5 metri e vento di 25 nodi durante le quali il ponte di volo si è mantenuto particolarmente stabile.
e qui veniamo alla domanda di old.
l’efficienza della nave e del suo equipaggio si ottiene rendendo la nave il più possibile una piattaforma su cui si possa lavorare nelle migliori condizioni di sicurezza senza essere sottoposti a stress fisico e psichico conseguente alla instabilità della nave. inoltre una nave da guerra ha la necessità di fornire ai sistemi d’arma una piattaforma la più stabile possibile.
come qualunque corpo libero di muoversi nello spazio, una nave, rispetto a una terna di
riferimento, compie 6 movimenti elementari, di cui 3 di rotazione e 3 di traslazione:
questi sono:
- rollio
- abbrivio
- beccheggio
- scarroccio
- serpeggio
- sussulto
in questa trattazione ci occupiamo dei primi due.
una nave si può trovare sottoposta all’azione di più azioni sbandanti, la cui intensità può eguagliare o addirittura superare quello del momento di stabilità. rollio e beccheggio sono quelli più “fastidiosi” in quanto si ripetono periodicamente e perché comportano accelerazioni molto fastidiose sia per gli uomini che per gli apparati.
parlando di “oscillazione completa” si intende il movimento che la nave compie per passare da una posizione inclinata a quella opposta e viceversa e il tempo necessario è definito “periodo”. maggiore è il periodo, minore sono l’ampiezza e l’accelerazione e dipende dal moto ondoso, dalle dimensione della nave e dalla sua forma. per contenere questo fenomeno si fa ricorso a sistemi di stabilizzazione attivi o passivi il cui compito è produrre un moto oscillatorio di stessa ampiezza e periodo ma di segno contrario. i sistemi utilizzati sono: forme di carena, alette antirollio, giroscopi, casse antirollio, ecc.
una nave “stabile” ha periodi ridotti e risulta “dura” in quanto tende rapidamente a tornare in posizione verticale ma la vita a bordo è disagevole arrivando al paradosso che la stabilità compromette l’operatività dell’unità. non potendo ovviamente realizzare navi con scarsa stabilità trasversale per renderle più “cedevoli”, si cerca di aumentare il periodo di oscillazione. per far questo si cercherà di aumentare il momento di inerzia di massa. questo perché il periodo di oscillazione è direttamente proporzionale al momento di inerzia di massa j e inversamente proporzionale alla stabilità.
altro movimento importante è il “beccheggio” ossia la rotazione che la nave compie rispetto ad un asse orizzontale perpendicolare al piano di simmetria. la sua entità è meno importante rispetto al rollio, e la conformazione della prua, magari con l’adozione di un bulbo, consente di smorzarne gli effetti e di migliorare le prestazioni in presenza di mare grosso.
entrambe le soluzioni presentano vantaggi e svantaggi.
le imbarcazioni multiscafo presentano una ambiguità di comportamento che le pone in una posizione a metà tra i monoscafo e un largo catamarano. un parametro molto importante è il rapporto tra volume dello scafo centrale e scafi laterali. l’ampiezza del rollio è grande se la distanza tra gli scafi laterali è piccola. in caso di scafi laterali aventi piccola immersione e larghezza, si adottano alette antirollio.
per i multiscafi, grazie alla maggiore distanza tra baricentro e murate degli scafi, la stabilità risulta maggiore mentre l’adozione di scafi “stretti” riduce la resistenza fluidodinamica consentendo ai multiscafo di raggiungere velocità superiori rispetto ai monoscafo della stessa lunghezza. essendo costituiti da più scafi, resistono meglio alle falle, affondando lentamente o rimanendo comunque a galla e permettendo più facilmente la riparazione o la messa in salvo dell'equipaggio.
tuttavia presentano anche alcuni svantaggi come costi di produzione superiori, una larghezza maggiore con conseguente difficoltà di manovra in porto, maggiore difficoltà a tagliare l’onda a causa della minore inerzia, una minore manovrabilità alle basse andature.
(segue...)