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技術と歴史

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per concludere accenniamo alle “comodità” di cui può usufruire l’equipaggio.
abbiamo già visto che difficilmente un sottomarino si può definire comodo, ma in questo caso si è posta particolare cura al comfort.
il sistema di propulsione pulito e il sistema di controllo ambientale migliorano notevolmente la qualità dell’aria e il classico puzzo di diesel misto a chissà cos’altro non appartiene ai 212.
inoltre non esiste il problema di carenza di ossigeno in quanto c’è sempre la possibilità di ricorrere a quello contenuto nei serbatoi e destinato alla propulsione.
anche l’acqua dolce è abbondante. oltre a quella contenuta in apposite casse, esistono due potabilizzatori a osmosi inversa da 100 l/h e può essere utilizzata anche quella di risulta del sistema aip anche se non potabile.

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le prestazioni di una macchina così sofisticata sono notevoli e logicamente riservate, ma esistono sempre dei margini di miglioramento considerando ad esempio che siemens ha già sviluppato pem di nuova generazione, le pzm120, con un incremento del 400% delle prestazioni.

saranno i moduli installati nei futuri u21...

per finire la risposta alla domanda che molti si pongono ossia: a cosa servono oggi i sottomarini all’italia?
chi ne ha voglia troverà numerose definizioni di “potere marittimo” che più volte ho espresso sul forum.
si può dire che nell’immaginario collettivo il sommergibile silura la nave nemica e tenta poi di defilarsi negli abissi cercando quindi altre vittime per le proprie armi.
se questo era vero nella seconda guerra mondiale, oggi la situazione è decisamente più complessa e il compito principale dei sottomarini è di “intelligence” e di supporto ad azioni di forze speciali.
se si considera la possibilità di avvicinarsi senza farsi sentire e vedere ma sentendo e vedendo tutto o quasi, si apprezza il valore di un mezzo come un sottomarino convenzionale.

infatti dopo il crollo del muro di berlino paradossalmente la situazione si è complicata e i compiti delle singole marine sono aumentati. se infatti durante la guerra fredda il confronto era tra le due superpotenze, mentre agli alleati erano concessi spazi di manovra limitati, oggi ogni paese deve garantire la sicurezza delle linee mercantili le quali necessitano di difesa continua. inoltre la necessità di raccogliere informazioni si è estesa anche ai mezzi subacquei mentre prima era affidata quasi esclusivamente ai mezzi aerei.
riassumendo i sottomarini sono impiegati per la difesa degli interessi nazionali, per l’infiltrazione di forze speciali (liberazione di ostaggi), nella lotta al terrorismo, alla pirateria, al controllo dei narcotrafficanti e della immigrazione clandestina.
inoltre la possibilità di imbarcare missili da crociera a testata convenzionale permetterebbe di munirsi, con una spesa relativamente modesta, di un potente strumento di dissuasione e se si pensa a come sia cambiato lo scenario internazionale, ad esempio in nord africa, diventa estremamente difficile considerare esagerata tale eventualità.

il progetto 212 si è rivelato talmente temibile che l’us navy lo ha accolto all’interno di un suo apparato per sofisticate e complesse esercitazioni in atlantico.
nel settembre 2008 era stato il todaro, il primo sottomarino italiano a raggiungere gli stati uniti, a interpretare la parte del nemico durante le esercitazioni atlantiche, riuscendo a cogliere di sorpresa la portaerei americana roosevelt e il suo imponente scudo difensivo.

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in estate è toccato invece allo “scirè” che ha mostrato le sue capacità nel ruolo di “nemico”.
in diverse occasioni ha ingaggiato finti duelli con le unità “avversarie” riuscendo in un’occasione a seguire, per ore, senza essere visto, un gigantesco sottomarino nucleare statunitense.
 
tempo fa ho ricevuto un mp da un amico del forum che mi chiedeva un post sui sonar. con colpevole ritardo cerco ora a rimediare.

la tragedia del titanic del 1912 stimolò i tecnici alla ricerca di un sistema per la localizzazione degli ostacoli così, dopo solo un mese dall'affondamento, l'ufficio brevetti britannico registrò un apparecchio generatore di eco subacquee a nome del metereologo lewis richardson mentre, nel 1914, il canadese reginald fessenden realizzò un sistema sperimentale in grado di individuare un iceberg distante due miglia. ma l'invenzione del sonar (sound navigation and ranging) risale al 1917 ed è frutto di paul langevin, un fisico francese nato a parigi nel 1872 che lavorò al progetto in collaborazione con l'ingegnere elettronico russo costantin chilowski.
già dal 1915 i due studiosi lavoravano allo sviluppo di apparecchi in grado di rilevare le eco mettendo a punto un trasduttore elettrostatico che getterà le basi per i successivi sviluppi (a cominciare dai trasduttori piezoelettrici). nel 1916 gli inglesi incrementarono notevolmente gli sforzi per la ricerca e al fisico canadese robert boyle fu assegnata la direzione del progetto che portò alla realizzazione del primo prototipo nel 1917. tutto si svolgeva sotto la massima segretezza nella divisione anti-sommergibili inglese che, mise a punto dei quarzi piezoelettrici realizzando il primo apparato in grado di rilevare attivamente un suono subacqueo, soprannominato "orecchio subacqueo".
un trasmettitore e un ricevitore erano alloggiati in una cupola posta sottocoperta e con questa apparecchiatura sperimentale furono avviate una serie di sperimentazioni in mare ottenendo la prima tracciatura di un sommergibile in immersione. l'uso della apparecchiatura era tutt'altro che semplice e gli operatori necessitavano di un lungo addestramento ma come spesso accade, la guerra impose una accelerazione alla ricerca che in breve fece notevoli progressi, diventando in breve una seria minaccia per i sommergibili tedeschi/austro-ungarici. la nazione più all'avanguardia in questo campo era la gran bretagna che nel 1923 schierava 6 flottiglie di cacciatorpediniere munite di asdic e che nel 1924 allestì la hms osprey, la prima nave scuola anti-som.
gli americani realizzarono il loro primo asdic nel 1931mentre gli italiani, che già negli anni 20 avevano sperimentato un prototipo chiamato "peritero", una sorta di ecogoniometro derivato da un ecoscandaglio nato per usi civili, ne abbandonarono la sperimentazione perché dotati di una portata estremamente limitata. anche l'alleato tedesco utilizzò apparecchi di questo tipo e ne fornì anche alcuni esemplari alla regia marina a partire dal 1942. per avere un asdic funzionante nazionale occorre attendere il 1943.
così allo scoppio della ii guerra mondiale l'unica marina relativamente attrezzata alla lotta antisom era quella britannica anche se almeno all'inizio, l'uso delle bombe di profondità accecava il caccia permettendo al sommergibile manovre evasive che spesso lo mettevano in salvo. nel corso del conflitto l'asdic venne sempre migliorato consentendo ascolti più ampi e accurati. in questo periodo gli americani coniarono l'acronimo sonar (sound navigation and ranging), termine che dal 1948 fu adottato nella codificazione nato.

il sistema asdic era costituito da un trasduttore contenuto in un radome sotto la chiglia della nave. inviando onde sonore, le stesse tornavano all'origine quando riflesse da un oggetto sommerso la cui distanza massima era di soli 2700 metri, numerosi erano i falsi segnali captati, da branchi di pesce, differenze di temperatura dell'acqua, correnti. il brandeggio era solo orizzontale, inoltre perdeva la già dubbia efficacia a velocità superiori ai 15 nodi. le corvette classe flower, tra le più note unità antisom della ii guerra mondiale, portavano l'apparato type 123 con cupola fissa mentre il type 124, montato su ad esempio il caccia hms campbeltown, aveva una cupola retrattile. il funzionamento avveniva spostando di pochi gradi il trasduttore lungo una traiettoria ad arco che andava da un lato all'altro della nave. si fermava il trasduttore e si inviava un segnale, se si captava una eco attribuibile ad un sommergibile, si metteva la prua sul bersaglio e ci si portava ad una distanza di 1000 yarde, circa 910 metri, mentre si tentava di tracciare la rotta seguita dal battello in immersione. a questo punto si cercava di passarci davanti tagliandoli la rotta e si cominciava a sganciare le bombe di profondità seguendo uno schema che prevedeva esplosioni a quote differenti, che aveva il compito di intrappolare il sommergibile. come ho ricordato in altra occasione, le bombe di profondità erano veramente efficaci se esplodevano ad una distanza non superiore ai 6 metri dallo scafo del sommergibile ma i primi asdic non erano in gradi di stabilire la profondità del bersaglio per cui ai comandanti tedeschi era spesso sufficiente scendere molto in basso per sottrarsi alla caccia visto che le bombe britanniche potevano raggiungere i 100 metri mentre gli u-boot superavano i 200. inoltre le esplosioni disturbavano molto l'uso del mezzo di ricerca per cui diventava difficile mantenere traccia del bersaglio. i grossi problemi per i comandanti tedeschi verranno in seguito a causa principalmente degli aerei da ricognizione muniti di radar. comunque anche altre marine sperimentarono l'asdic su pescherecci armati, corvette e altre piccole unità o imbarcarono apparati inglesi come sul caccia olandese "sweers".

ma se inizialmente il sonar era uno strumento realizzato per i cacciatori, in seguito divenne anche il miglior amico della preda...

quando un sottomarino naviga immerso oltre la quota periscopio, è praticamente cieco. l'unico contatto con il mondo che lo circonda è il sonar. in realtà si tratta di una serie di apparecchiature che sfruttano le capacità di propagazione del suono nell'acqua per scoprire gli ostacoli che lo circondano, in altre parole per individuare navi di superficie, sottomarini o animali marini, asperità del fondale o mine. il suono nell'acqua ha la capacità di essere udito a distanze molto superiori rispetto al suono diffuso in aria e può essere ascoltato fino a diverse decine di kilometri. come accennato i sonar possono essere sia attivi che passivi. su un sommergibile troviamo entrambi i tipi di sonar. quello passivo è un sensore che capta i suoni trasmessi dagli oggetti sommersi e permette di localizzarne la direzione di provenienza e individuare la fonte in base alle caratteristiche del suono captato. e' costituito da una serie di sensori e può essere utilizzato solamente per "ascoltare". in condizioni ottimali, un moderno sonar passivo può "sentire" navi che si trovano a molte miglia di distanza. il migliore vantaggio di questa soluzione è la silenziosità unita alla possibilità di scoprire le caratteristiche della fonte di emissione del rumore. avendo tre sensori disposti sulla lunghezza del battello e ricorrendo alla trigonometria, è possibile ottenere con sufficiente approssimazione la distanza della fonte.

il sonar attivo invece permette la localizzazione dei corpi sommersi tramite la rivelazione degli echi generati da impulsi sonori o ultrasonori emessi da un trasduttore piezoelettrico o magnetostrittivo. il trasduttore emette un segnale ad alta energia acustica, (il famoso "ping") che viene riflesso (eco) dall'oggetto presente e captato dai sensori del sottomarino. misurando il tempo trascorso prima che l'onda riflessa raggiunga l'emettitore consente di determinare la distanza dell'obiettivo con estrema precisione. il vantaggio è che fornisce informazioni immediate sulla portata ma la trasmissione attiva può essere ricevuta da sottomarini e/o navi nemiche e usata per localizzare il sottomarino che trasmette. a causa di questo rischio, viene utilizzato solamente come ultima risorsa per determinare distanza e posizione esatta di un obiettivo. analogamente ai radar, il sonar attivo fornisce un'informazione accurata della posizione del battello emettitore, dato che la densità di potenza acustica è maggiore nel tratto emettitore-riflettore che in quello opposto (che riflette solo una piccola frazione dell'energia acustica emessa; in particolare la potenza riflessa dal riflettore è data dalla moltiplicazione dell'area efficace del bersaglio per la densità di potenza acustica).
 
sui sottomarini classe toti, i primi di produzione nazionale post- bellica, erano installati: il sonar attivo, la base conforme, il misuratore passivo di distanza, il telefono subacqueo, l'intercettatore goniometrico, lo scandaglio ultrasonico e il bativelocigrafo. escluso il telefono subacqueo e l'intercettatore goniometrico, tutti gli altri apparati confluivano nel sonar. tutti i suoni rilevati, sia dal sonar passivo che da quello attivo, venivano visualizzati a schermo su una consolle. l'operatore poteva filtrare determinate frequenze ascoltando solo quelle volute e poteva commutare sul sonar attivo e emettere un suono. ruotando una apposita manopola si poteva indirizzare l'ascolto sui rumori definiti "idrofoniche" e l'operatore li classificava distinguendo le navi di superficie tra mercantili o militari, riconoscendone la propulsione, il numero di eliche e il numero di giri, la probabile distanza. il rilevamento veniva poi comunicato in camera di manovra al comandante.
e' un sistema sufficientemente affidabile, per fare un esempio, sappiamo che le navi americane usano sistemi di alimentazione funzionanti con i 60 hz in corrente alternata.
se i trasformatori o i generatori fossero montati senza alcun mezzo di isolamento dalle vibrazioni, la frequenza risuonerebbe saturando con le sue armoniche tutte le possibilità di ascolto dei sonar e questo potrebbe essere utile per individuare la sua nazionalità: infatti la identificherebbe come unità usa, poiché la maggior parte dei sommergibili europei usa i 50 hz per alimentare le proprie apparecchiature di bordo.
i moderni sistemi di sonar passivi hanno grandi database sonici, compilati per la maggior parte a mano dallo stesso operatore sonar. un sistema di computer usa questi database per identificare la classe, l'unità, la velocità, o il tipo di armamento supportato. le pubblicazioni contenenti la classificazione dei suoni delle varie unità vengono periodicamente tenute aggiornate dagli uffici dell' intelligence navale.
avendo accennato al telefono subacqueo e all'intercettatore, vediamo cosa sono. il telefono subacqueo è un mezzo di comunicazione tra una unità di superficie e una immersa, soprannominato "getrude", è diventato famoso grazie al film "caccia a ottobre rosso". l'intercettatore goniometrico, detto "velox", è un apparecchio che consente di fornire un primo segnale approssimativo dei rumori in acqua. e' fondamentale in caso di lancio di siluro da ad esempio un elicottero.
altri strumenti importanti sono: lo scandaglio che permettere di conoscere la distanza della chiglia del sottomarino dal fondale e, il bativelocigrafo che misura la velocità del suono in acqua. un dato che viene influenzato dalla salinità e dalla temperatura a tal punto che un sottomarino può "nascondersi" sotto una strato di acqua a temperatura differente in quanto la temperatura varia con il variare della profondità. lo strato termico standard, detto anche thermocline, si estende in media tra 30 e 100 metri.
questo può influenzare di molto il funzionamento e la portata del sonar, in quanto un suono che viene emesso su un lato del thermocline tende ad essere curvo, o rifrangersi, trasmettendo in questo modo false informazioni.

un moderno sottomarino dispone di un "trasduttore cilindrico", della "base conforme" e del "sonar rimorchiato". il trasduttore cilindrico, situato nella prua del sottomarino, segue le tracce a banda larga e i contatti a banda stretta. la captazione passiva varia da circa 750 hz a 2.0 khz; la parte attiva emette e capta in un range di alta frequenza di circa 1.5 khz a 5.0 khz. ad alte velocità si hanno alcune perdite di prestazioni a causa del rumore del flusso dell'acqua che si muove attraverso la superficie del gruppo o sulla superficie che lo carena. il sensore di prua non è molto sensibile a basse frequenze e infatti non è il gruppo da scegliere per identificare contatti che emettono solo quest'ultime. la base conforme, disposta lateralmente sullo scafo, è un gruppo lineare che a basse velocità ha la capacità di scoprire contatti a banda stretta a bassa frequenza (da 50 hz a 1.0 khz), lavora esclusivamente con trasduttori passivi. il sonar rimorchiato viene trascinato dietro al sottomarino ed è composto da una serie di trasduttori passivi disposti su un lungo cavo in modo da evitare eventuali rumori generati dallo scafo, è usato sia per la captazione e sia per il tracciamento a banda larga e a banda stretta (da 10 hz a 1.0khz). viene utilizzato a bassa e media velocità ed è ottimizzato per le frequenze più basse.
 
ho capito sempre troppo poco di quello che vorrei capire, ma questo non toglie nulla alla bontà dello spiegone.
:4425: clap clap
 
ottimo come sempre :finger:

i moderni sistemi di sonar passivi hanno grandi database sonici, compilati per la maggior parte a mano dallo stesso operatore sonar. un sistema di computer usa questi database per identificare la classe, l'unità, la velocità, o il tipo di armamento supportato. le pubblicazioni contenenti la classificazione dei suoni delle varie unità vengono periodicamente tenute aggiornate dagli uffici dell' intelligence navale.

mi sono sempre chiesto come fosse possibile distinguere i rumori a orecchio... :smile:
 
mi sono sempre chiesto come fosse possibile distinguere i rumori a orecchio... :

con l'esperienza? :-)

se hai visto caccia a ottobre rosso, l'esperto tecnico al sonar, insegna al "pivello" a distinguere a orecchio balene e sottomarini. poi però quando ha un dubbio, passa tutto al computer che risponde "anomalia sismica" non conoscendo ancora la propulsione magnetica del nuovo sottomarino russo.
 
sempre su gentile richiesta (bisognerebbe forse che mi facessi pagare :tongue:, parliamo oggi del carbone)

la scelta dell’impianto di propulsione per una nuova nave, è una fase molto complicata della progettazione la cui soluzione non dipende esclusivamente dalle caratteristiche delle diverse tipologie delle macchine ma, nel caso in particolare delle unità militari, anche dalle capacità industriali nazionali.
fino alla metà degli anni 60 la maggior parte delle unità di superficie di media e grande dimensioni era equipaggiata di impianti a vapore e il motore diesel, nonostante le innovazioni portate dai tedeschi durante il conflitto, sembrava destinato esclusivamente alle unità subacquee e al naviglio sottile. nello stesso periodo lo sviluppo nello sfruttamento dell’energia nucleare sembrava precludere ogni strada allo sviluppo di impianti alternativi complice anche una forte componente tradizionalista tra i vertici di alcune marine militari.
da quando si installarono le prime macchine a vapore per azionare ruote o eliche, il carbone è stato il combustibile principe e il suo regno è continuato fino ai primi venti anni del 1900 quando fu sostituito dalla nafta, impiegata sia per le caldaie delle navi a vapore, sia per i motori diesel (apparsi sulle navi intorno al 1910).

il periodo di transizione fu lungo e difficile. le prime navi a sperimentare la nafta nelle loro caldaie furono le navi militari italiane grazie alle esperienze condotte nel 1893 dal c.f. del genio navale vittorio cuniberti sulla torpediniera “104 s” e nel 1895 sulla torpediniera “stiletto”. da quel momento la nafta si affermava come combustibile anche se durante la prima guerra mondiale, le grandi navi utilizzavano ancora il carbone. in italia le ultime navi da guerra a utilizzare questo combustibile fossile furono le tre corvette “antilope”, “daino” e “gazzella” (in realtà anche alcuni rimorchiatori continuarono a lavorare alimentati a carbone ma limitatamente alle attività portuali). si trattava di tre ex dragamine tedeschi chiamati in origine m801, m328 e m803, costruiti rispettivamente nei cantieri oderwerke, shichau e koningber tra il 1940 e il 1943. lunghi 62.5 metri e larghi 8.52, dislocavano circa 720 tonnellate. l’apparato motore era costituito da due caldaie a carbone, combustibile di cui le germania era relativamente ricca, due macchine alternative e due eliche. la potenza era di 2150 hp e la velocità massima era di 17 nodi. inizialmente furono classificate come navi ausiliarie, quindi navi pattuglia, nel 1954 dragamine e nel 1956 corvetta, classificazione rispondente al loro impiego. in seguito diventarono navi scuola e nel 1950 ricevettero i nomi suddetti. l’armamento fu modificato e l’apparato motore adattato al funzionamento a nafta. finirono demoliti tra il 1959 e il 1967.

per oltre 70 anni il carbone impiegato sulle navi venne movimentato a mano e questo comportava un enorme impiego di manodopera per il carico dello stesso a bordo, per il suo trasferimento dai depositi ai carbonili di servizio, per l’alimentazione delle caldaie. per dare un’idea dei numeri basti ricordare che il transatlantico “mauretania” costruito per la cunard nel 1907, aveva una potenza motrice di 68.000 hp grazie al vapore generato da 25 caldaie cilindriche di cui 23 a duplice fonte e due semplici per un totale di 48 frontali. il personale di macchina contava di 368 persone di cui 56 erano macchinisti (ufficiali e sottufficiali), 192 fuochisti e 120 carbonai, quindi ben 312 persone erano destinate alla condotta delle caldaie. i turni erano articolati su tre guardie quindi ognuna contava di 18 macchinisti, 64 fuochisti e 40 carbonai.
sulle navi militari la situazione era simile. la corazzata “dante alighieri” aveva 23 caldaie con un totale di 319 addetti, la “cesare” 24 caldaie e 303 uomini, l’esploratore “nino bixio” 14 caldaie e 118 addetti, ossia un numero rilevante di equipaggio addetto alla condotta dei fuochi. almeno due volte al giorno andavano pulite le griglie e scaricata la cenere. le griglie venivano pulite spostando prima tutto il carbone da un lato, poi si prendeva un lungo ferro appuntito detto “pinza” e si staccavano le incrostazioni formatesi tra le sbarre della griglia, poi si spostava il carbone dal lato opposto e si ripeteva la pulizia. le ceneri venivano scaricate sgombrando la parte sottostante la griglia poi raccolte in buglioli, venivano portate tramite appositi elevatori in coperta oppure, scaricate in mare tramite gli “eiettori”.
un gran numero di carbonai era addetto al trasferimento del combustibile dai depositi ai carbonili di servizio (operazione che si fa tutt’oggi travasando la nafta da una cassa all’altra mediante pompe e valvole).
il carbone doveva essere spalato e raccolto in sacchi o ceste e quindi trasportato fino ai carbonili dove veniva versato. per queste operazioni non potevano essere distratto il personale addetto alla condotta dei fuochi quindi occorreva personale apposito che portasse il combustibile fino davanti ai forno dove si trovavano i fuochisti. sulle navi più piccole però, dove non poteva essere imbarcato personale apposito, per il travaso veniva impiegato personale di tutte le categorie libero da altri servizi. per questo motivo e per ridurre al minimo tale operazione non si faceva il carico completo del carbone ma, ci si limitava a quello che poteva essere contenuto nei carbonili più accessibili. da questa consuetudine derivò la definizione “carico normale” e “sovraccarico” intendendo in quest’ultimo caso di avere tutti i depositi pieni. come abbiamo visto quindi per le operazioni di carico era necessaria una grande quantità di mano d’opera ma mentre per le navi mercantili si faceva ricorso al personale portuale, per quelle militari provvedeva lo stesso equipaggio mobilitato al completo. sulle navi mercantili l’imbarco era facilitato dalla posizione più accessibile dei depositi, ma sulle navi militari il carico era reso più difficile dalla presenza delle corazzature e dalle protezioni di sicurezza.

per una nave da battaglia si trattava di caricare 1000 tonnellate di carbone, occorrevano 15-20 bettoline che si affiancavano ai due lati della nave, il carbone veniva sollevato a mano fino ai portelli dei carbonili e quindi versato nei depositi. un lavoro ingrato che per essere reso più accettabile occorreva motivare. così il comando organizzava una specie di gara tra i vari reparti dell’equipaggio e il premio andava a chi per primo svuotava la bettolina assegnata mentre la banda suonava inni e marce. anche gli ufficiali vi partecipavano incitando i propri uomini e spronandoli verso il premio. alla fine dell’imbarco tutti dovevano andare alla doccia e anche la nave necessitava di un posto di lavaggio speciale che poteva durare anche 4 giorni. la polvere nera e sottile si infilava dappertutto e andava rimossa anche dagli alloggi e dai quadrati.

ma perché occorrevano così tante caldaie? (abbiamo visto che sulle corazzate erano più di venti).
supponiamo che per sviluppare 15 nodi occorrano 12 caldaie accese e di 24 caldaie per raggiungere i 18 nodi. per variare rapidamente la velocità, senza dover attendere le 4-6 ore necessarie per mandare in pressione una caldaia, si usava tenerne 12 in funzione e 12 in “alimento” cioè accese, ma ad una pressione ridotta e non in collegamento al collettore del vapore verso le macchine alternative. così potevano essere rapidamente portate in pressione e collegate.
quando la nafta sostituì il carbone, il numero delle caldaie si ridusse drasticamente. sulle corazzate classe “littorio” erano solo 8 così come sulle classe “cesare” ammodernate in cui le 24 caldaie a carbone furono sostituite da 8 a nafta. in sintesi il numero delle caldaie a nafta risultò compreso tra 2 e 8 a seconda delle dimensioni della nave. i motivi che portarono a questa drastica riduzione si dovevano al progresso tecnologico e alla possibilità delle caldaie a nafta di variare rapidamente la quantità di vapore prodotto, questo perché ognuna di esse era fornita di un numero di bruciatori (da 4 a 16), che consentivano di variare l’intensità della combustione e quindi la quantità di vapore prodotto quindi semplificando le operazioni (in pratica per accelerare o rallentare bastava aumentare o diminuire il numero dei bruciatori accesi). il passaggio alla nafta ha enormemente facilitato le operazioni di imbarco e di travaso del combustibile ha permesso di ridurre notevolmente il personale, ad esempio sulla “cesare” il numero di personale di macchina si ridusse di 170 unità.
i progettisti poterono realizzare le casse della nafta in locali inaccessibili come il doppiofondo liberando notevoli volumi prima occupati dai carbonili che invece si trovavano in posizione elevata ai lati dello scafo così da essere riempiti attraverso portelli sui ponti e svuotati dal basso all’altezza del piano dei fuochi.
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il carbone fu così “abbandonato” per quasi quarant’anni. ma la crisi mondiale del petrolio della fine degli anni 70, spinse alla ricerca di fonti alternative e alla riconsiderazione del carbone quale combustibile per caldaie marine oltre che per quelle terrestri dove comunque non fu mai del tutto abbandonato visto che le esperienze sono continuate nelle centrali termoelettriche. qualcuno prese in considerazione la realizzazione di navi a caldaie a carbone…

certamente un ritorno al carbone quale combustibile crea diversi problemi non tutti di facile soluzione nonostante i notevoli progressi della tecnologia necessaria. dover maneggiare una sostanza solida piuttosto che una liquida è la prima di queste difficoltà. come detto lo stivaggio della nafta infatti viene realizzato sfruttando volumi altrimenti inutilizzati come ad esempio i doppifondi, grazie alla possibilità di pompaggio del combustibile mentre invece i depositi del carbone invece devono trovarsi in posizione elevata, sovente ai lati dello scafo, così da poter essere riempiti dall’alto e svuotati dal basso. il posizionamento del combustibile in zone alte della nave crea problemi strutturali e di stabilità vista l’altezza dei centri di gravità dei carbonili rispetto alla linea di costruzione. inoltre questi volumi vengono sottratti alla disponibilità dei progettisti per la realizzazione di locali adibiti ad esempio, ai passeggeri. pensiamo poi alla alimentazione delle caldaie.
essendo impensabile un ritorno a sistemi manuali occorre necessariamente installare un impianto automatico il quale esige dei depositi a tramoggia posti in posizione elevata rispetto ai forni. tralasciando un momento le navi militari, per le quali il ritorno del carbone si rivela impossibile, vediamo invece che nella marina mercantile i problemi sono più facilmente risolvibili. infatti nelle navi adibite al trasporto di merci, l’apparato motore si trova quasi sempre a poppa, sormontato da una alta sovrastruttura per cui sarebbe relativamente semplice installare le tramogge nella parte poppiera dell’ultima stiva. per l’alimentazione si potrebbe ricorrere a nastri trasportatori o convogliatori pneumatici mentre i forni moderni a griglia mobile consentirebbero l’avanzamento del carbone e la caduta delle ceneri nel sottostante raccoglitore da cui poi, potrebbero essere espulse con getti di acqua a pressione oppure, raccolte in una apposita cassa da cui poi smaltirle a terra. l’alimentazione automatica venne già sperimentata nel 1926/27, su 6 navi americane appositamente attrezzate. questa soluzione fu poi adottata su tre navi da carico da 9500 ton. la “mercer”, la “lorain” e la “west alsen”. gli esperimenti si susseguirono fino al 1930, anno in cui dovettero essere abbandonati in seguito alla crisi economica.

ma nella conferenza di tokyo del 1979 i sette paesi più industrializzati si impegnarono a non aumentare i consumi di petrolio fino al 1985 promuovendo, quale fonte alternativa, il carbone. così riprese vigore la considerazione del carbone come combustibile per le caldaie marine abbandonato ormai da oltre 40 anni. gli studi si indirizzarono verso sistemi che impiegassero in maniera più razionale il combustibile come ad esempio il “coal-oil mixture” (c.o.m.) ossia una miscela di carbone e nafta trattata come un liquido altamente viscoso, sperimentato dai giapponesi della electric power development in collaborazione con i cantieri mitsubishi, hitachi zosen, ishikawajima, harima heavy industries, mitsui engineering and shipbuilding e kawasaki heavy industries che realizzarono un impianto pilota funzionante. una strada diversa fu stata intrapresa dai tedeschi con la realizzazione in renania-westfalia di un impianto sperimentale per la “liquefazione” del carbone. gli americani della “garret research and development” e la “u.s. engineers and consultants” si interessarono invece alla distillazione secca del carbone e della sua liquefazione. la gran bretagna indirizzò la sua ricerca verso la combustione del carbone in piccola pezzatura o in polvere con un sistema denominato “denseveyor sysytem” realizzato dalla “macawber engineers ltd” consistente nell’immissione del carbone in un recipiente pneumatico che lo spinge nel forno mediante aria compressa.

nel 1979 la società “australian national lines” ordinò due navi portarinfuse da 75.000 t. alimentate a carbone mentre un’altra società australiana, la “bulkships” ne ordinò due alla italcantieri di monfalcone chiamate “tnt capricornia” e “tnt carpentaria”.
http://www.archeologiaindustriale.i...ontent_type=nave&goto_id=2070&scheda_tecnica=
http://www.archeologiaindustriale.i..._command=clear&content_type=nave&goto_id=2068
http://www.australianmerchantnavy.com/apps/photos/photo?photoid=179132687
http://www.naviearmatori.net/ita/foto-122482-4.html

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questo avrebbe dovuto rappresentare una svolta nella storia della propulsione navale e non un semplice ritorno al passato. i carboni disponibili non rappresentavano un problema se si considera che esistono caldaie terrestri capaci di bruciare indifferentemente dalla legna ai rifiuti. di fronte a questi combustibili alternativi, il carbone si trova in condizione di netto vantaggio anche tenendo conto delle caratteristiche diverse caratteristiche di potere calorifico, contenuti di cenere, zolfo. negli impianti terrestri si usa spesso il carbone polverizzato con caldaie in cui il combustibile brucia in sospensione, in maniera analoga alla nafta ma in ambito marino tale genere di caldaia rappresentava una eccezione. la “ss champlain” e la “ss france” furono due esempi di navi che utilizzavano il “polverino” nonostante la propensione all’autocombustione e all’esplosione di questo materiale. in questo caso si preferiva utilizzare carbone nella pezzatura 30-32mm che veniva introdotto nella fornace da una batteria di alimentatori rotanti consistenti in un fusto con una serie di palette azionate da un motore a velocità regolabile. combinando velocità e posizione, era possibile variare la quantità di combustibile al forno, forno entro il quale la parte più sottile del combustibile bruciava in sospensione, mentre il resto cadeva su una grata mobile che offriva in continuazione nuova superficie su cui accogliere il combustibile. la cenere cadeva per effetto del movimento, nel sottostante cinerario.
in conclusione, non pare che le caldaie a carbone abbiano avuto un seguito dopo queste applicazioni che potremmo definire sperimentali anche se, considerate le disponibilità di riserve energetiche disponibili, il carbone avrà probabilmente un ruolo sempre importante anche nel campo dei trasporti marittimi.
 
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sempre su gentile richiesta (bisognerebbe forse che mi facessi pagare :tongue:, parliamo oggi del carbone)

siiiiiiiiiii :biggrin: dovresti quasi farlo; io ti pagherei, ti sbatto anche in tv se potessi e pago anche 2 volte il canone solo per sentire meglio te. :redface:
ciao, è sempre un piacere leggerti.
 
sempre su gentile richiesta (bisognerebbe forse che mi facessi pagare :tongue:, parliamo oggi del carbone)

siiiiiiiiiii :biggrin: dovresti quasi farlo; io ti pagherei, ti sbatto anche in tv se potessi e pago anche 2 volte il canone solo per sentire meglio te. :redface:
ciao, è sempre un piacere leggerti.

si potrebbe fare, d'altronde con tutti i cianfuteri che bazzicano la tv chi vuoi che se accorga di uno in più?
sei proprio un amico... :wink:
 
ho approfittato di questo spazio per "raccontare" la storia, mia grande passione, accomunando le innovazioni tecniche che ne sono conseguite.
questa volta proverò ad anticipare i tempi parlando di una nave che ancora non esiste ma che tra non molto inizierà a prendere consistenza sui tavoli dei progettisti.
prima però è necessaria come mia consuetudine, una premessa che consenta di comprendere quali siano state le motivazioni alla base di un prodotto innovativo e sotto alcuni aspetti rivoluzionario.


la nave che verra'

e’ ormai un dato quotidiano l’arrivo in massa di immigrati clandestini provenienti dalla libia e raccolti in mare dalle navi militari nell’ambito dell’operazione “mare nostrum”. ondate di immigrati che vengono sbarcati sulle coste siciliane e poi distribuiti in tutta italia dopo essere stati raccolti in mare da fregate, corvette, pattugliatori e, navi da sbarco della marina. complice anche un inverno mite, il flusso dalla libia non si è mai fermato e la presenza della nostra flotta ha finito per semplificare la traversata favorendo gli affari dei trafficanti nordafricani.
mare nostrum, nata per fini umanitari, in realtà è una follia; i costi dell’operazione sono stratosferici sia perché le bande criminali approfittano del vuoto di potere in libia causato da una guerra deleteria imposta da interessi americani e francesi, interessati a colpire i nostri interessi nell’area, sia perché il numero dei migranti è in costante aumento.
assurdo nell’assurdo, è utilizzare fregate lanciamissili da 500 milioni di € che ne costano 60 mila al giorno per raccogliere in mare immigrati e portarli in italia.

inizialmente alcuni ministri presentarono l’operazione dipingendola come “necessaria per rafforzare la protezione della frontiera” mediante la “deterrenza del pattugliamento”, altri sostennero che gli immigrati sarebbero stati portati in un porto sicuro non necessariamente italiano, lo stesso rappresentante di governo riconobbe che “i profitti dei trafficanti finanziano anche il terrorismo islamico”.
oggi, dopo i 43.000 arrivi dello scorso anno, siamo già ad oltre 93.000 e il numero è in costante crescita.
bisogna ricordare infatti, che gli ordini impartiti alla marina non hanno mai consentito di contrastare i traffici ma solo di favorirli e, nonostante l’arresto di un centinaio di scafisti, i flussi non ne hanno assolutamente risentito. anzi, le porte spalancate hanno aumentato i “clienti” dei trafficanti e ridotto i costi delle traversate.
così adesso i piccoli cantieri navali sulla costa tra la tunisia e la tripolitania, dediti da sempre alla realizzazione di barche da pesca, hanno adattato la loro produzione alla richiesta del mercato varando decine di “legni” da riempire all’inverosimile di immigrati.

mare nostrum è una operazione che in realtà, nascondendosi dietro al solito ipocrita buonismo che ci contraddistingue, non permette al paese di difendere i propri confini ma anzi, incita i trafficanti a superarli senza timore dimenticandoci che ogni stato è sovrano e che è quindi tenuto ad assumere iniziative concrete atte a difendere i propri interessi nazionali.
e l’indifferenza dell’unione europea di fronte alle nostre lamentele non ci deve stupire. si tratta, infatti, degli stessi “alleati” che scatenarono la guerra in libia con l’intento di “eliminare” un paese economicamente concorrente (e a quel momento privilegiato) come l’italia.

i mezzi li abbiamo.
la forza navale potrebbe gestire una operazione di respingimento riportando in libia gli immigrati (garantendone comunque le cure sanitarie), magari in un tratto di costa in cui far lavorare le agenzie a carattere umanitario delle nazioni unite, assicurandone la protezione anche con l’uso delle armi puntandole e utilizzandole contro trafficanti, schiavisti e, miliziani e senza la necessità di scandalizzarci ad ogni costo (d’altronde noi italiani siamo stati capaci di sganciare 700 bombe sui nostri “amici” libici, ricordo il trattato di amicizia firmato con gheddafi). disponiamo degli strumenti necessari (intelligence, droni e forze speciali) per colpire i boss delle organizzazioni criminali che gestiscono i traffici (strumenti che impieghiamo già contro i talebani afghani). chissà che dopo qualche respingimento, anche per dimostrare che l’italia non si fa condizionare, i flussi non diminuiscano o non cessino del tutto visto che nessuno pagherebbe migliaia di dollari per ritrovarsi al punto di partenza…

e neanche le dichiarazioni dell’attuale ministro degli esteri secondo cui attualmente il governo libico non ha il controllo del territorio rendendo impraticabile ogni collaborazione, o quelle del ministro della difesa che sostiene che in libia non ci sono interlocutori con cui tentare accordi per bloccare il flusso migratorio, possono valere quali giustificazioni, anzi, proprio l’assenza di validi interlocutori imporrebbe di assumerne iniziative unilaterali atte a tutelare gli interessi nazionali.
gli usa d’altronde non entrano quando gli pare nei paesi stranieri per catturare i terroristi o eliminare potenziali minacce? e siamo così sicuri che la libia, che presidia con le armi i terminal petroliferi, non riesca a controllare i porti? e non sarebbe il caso di ricordare ai nostri amici della ue che in libia è ordinata una missione europea chiamata eubam del costo di 30 milioni di €:
http://eeas.europa.eu/csdp/missions-and-operations/eubam-libya/index_en.htm
il cui scopo è il controllo delle frontiere?

ho detto che i mezzi li abbiamo, diamo quindi un’occhiata alle forze disponibili in una missione tipo e facciamo due conti:
comando dell’operazione assegnato ad una nave assalto anfibio tipo san marco, due fregate classe maestrale, due pattugliatori classe soldati o cassiopea o due corvette, una nave trasporto classe gorgona, 4 elicotteri ab212, 2 elicotteri eh101 un pattugliatore piaggio p180, un breguet atlantic, un drone predator, un elicottero da ricerca e soccorso hh-139 sar, poi vedette costiere ecc. ecc. per un totale di oltre 1500 militari.
sapete quanto costa tutto questo apparato?
una lpd classe san marco costa 45.000 euro al giorno, le fregate classe maestrale 60.000 l’una, i pattugliatori 20.000 così come le corvette, i trasporti costieri 4.000 euro. un elicottero ab212 costa 4.000 € all’ora mentre un eh101 circa 7.000. un piaggio p180 2.000 euro l’ora mentre un atlantic 13.000 e un predator circa 3.000. se si ipotizzano meno di 20 ore di volo al giorno si raggiunge un costo medio di 100 mila euro a cui vanno sommati i costi aerei e navali più le indennità d’imbarco dei circa 800 marinai delle sei unità navali.
si può così ipotizzare una spesa media giornaliera di almeno 300 mila euro, cioè 9 milioni di euro al mese a cui aggiungere 1,5 milioni per il dispositivo di unità costiere già in azione per un totale di 10,5 milioni (alcuni parlano di ben 12 milioni).

continuando nel solco della ipocrisia, è vero anche che l’emergenza ha portato alcun vantaggi… ad esempio la marina militare ha colto l’occasione per far valere la propria importanza è ha ottenuto un finanziamento pluriennale di quasi 6 miliardi di euro per il rinnovo di una flotta ormai destinata all’estinzione.
attualmente la flotta è costituita da 60 unità di cui:
1 portaerei di recente costruzione (cavour); 4 navi per operazioni anfibie: garibaldi, classe san giusto e classe san marco la cui vita media è di 26 anni; 4 cacciatorpediniere di cui 2 classe durand de la penne di 23 anni (che dal 2016 saranno declassati per vetustà a fregate); e 2 nuovi classe orizzonte; 11 fregate classe maestrale e classe soldati la cui età media è di 31 anni; 3 navi rifornitrici, 2 classe stromboli e una classe etna di età media di 30 anni; 6 corvette (26 anni); 10 pattugliatori (23 anni); 10 cacciamine di cui i classe lerici hanno 30 anni e i classe gaeta 21 anni; 3 navi idrografiche di cui 2 recenti e una di 38 anni; 2 sommergibili aip recenti (u212) e 4 convenzionali (24 anni); 2 navi supporto subacquei di cui una ha 38 anni.

(segue...)
 
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dalla fredda constatazione di questi dati, che denunciano una anzianità di servizio della nostra flotta ormai insostenibile, è scaturita la necessità di finanziare un rinnovamento delle unità della marina militare, la così detta “legge navale” anche se i vertici militari preferiscono parlare di “piano di emergenza”. comunque lo si chiami, si tratta di un notevole sforzo atto a ridurre il degrado della capacità marittima nazionale, degrado che coinvolge sia la marina che la cantieristica. il piano costituisce un intervento di emergenza mirato alla realizzazione di un nucleo di unità per bilanciare la perdita di 51 delle 60 navi attualmente in linea. l’intervento prevede la realizzazione di 10/12 pattugliatori polivalenti d’altura di cui 6 in versione “full” per la sorveglianza marittima tridimensionale e 4 unità in versione “light”.
le versioni “full” sembreranno più fregate o cacciatorpediniere che non pattugliatori d’altura in termini di dimensioni e armamento.

una nave supporto logistico (rifornitrice), con capacità di trasporto e rifornimento in mare di combustibili, lubrificanti, munizionamento, pezzi di rispetto, viveri, acqua, medicinali, materiali vari e, di concorso ad attività di soccorso umanitario in caso di eventi straordinari o calamità naturali. un’unità anfibia multiruolo (lhd) per il concorso ad attività di soccorso umanitario in occasione di eventi straordinari o calamità naturali, con particolare capacità di imbarco, trasporto, rilascio, impiego e supporto di mezzi anfibi e aerei. inoltre due unità navali polifunzionali ad altissima velocità e spinto contenuto tecnologico per il supporto alle forze speciali del gruppo operativo incursori.

se 5,8 miliardi di euro sono una grossa cifra, occorre ricordare quanto evidenziato da milano finanza secondo cui lo stanziamento è favorito dall’ultima ricerca srm (studi e ricerche del mezzogiorno), banca d’italia e assoporti su “trasporto marittimo e sviluppo economico” nel quale si valuta che ogni 100 euro investiti in una nuova unità navale se ne generano 249 nel sistema economico nazionale. questo effetto moltiplicatore sul prodotto interno lordo, che non ha eguali negli altri settori, sottolinea le ricadute complessive per l’industria italiana e per l’export valutando che per ogni tre navi prodotte per la marina, ne viene esportata almeno una all’estero. le spese sono un onere per la collettività in grado di contribuire allo sviluppo tecnologico e industriale generando occupazione e sviluppando il know how per le nostre industrie.


dopo questa lunga, indispensabile premessa del quadro politico, è interessante analizzare quello che sembra il progetto più interessante e innovativo, una nuova classe di unità non chiaramente definibile nella schematica definizione classica. un po’ fregate, un po’ pattugliatori, un po’… saranno navi destinate a sostituire 6 classi di navi che vanno dai caccia classe “durand de la penne”, ai pattugliatori classe “cassiopea”, dai “soldati” ai “minerva”. questo significherà inoltre razionalizzare la flotta riducendo il tipo di navi in linea risparmiando sui costi di manutenzione, addestramento e esercizio. e’ evidente infatti, che avere una flotta di navi tutte uguali consente di razionalizzare le manutenzioni e ridurre gli investimenti sui pezzi di ricambio. in futuro la flotta sarà basata su tre linee fondamentali. escludendo la cavour e il naviglio non combattente avremo: classe orizzonte, fremm (fregate europee multi missione) e upad (unità polivalente d’altura a capacità duale) .
le upad saranno navi lunghe circa 150 metri molto veloci, da 35 nodi almeno. velocità ottenuta con una configurazione codag e forse, un idrogetto con funzioni di “booster”. questo requisito di velocità così spinto, è dettato dalla necessità di intervento in operazioni di soccorso nelle quali la tempestività di intervento è spesso il fattore determinante per il buon esito. una velocità che si ottiene con una potente motorizzazione unità a linee di carena affinate quindi più simile alle fregate classe maestrale o ai caccia durand de la penne piuttosto che alle recentissime fremm. ma far coesistere un coefficiente di finezza elevato con spazi sufficienti a contenere personale, equipaggiamenti e materiali, rappresenta la prima sfida. infatti, le upad dovranno garantire grandi aree da impiegare con flessibilità così da poter configurare le navi secondo le necessità. pur volendo raggiungere i 35 nodi, non si vuole sacrificare l’economicità di esercizio ad andatura di crociera (che poi è quella che viene maggiormente utilizzata durante la vita della nave).
si tratta quindi di combinare le linee di carena con l’apparato motore cercando di raggiungere il miglior compromesso in grado di soddisfare due requisiti contrastanti come prestazioni e volumi. le tag saranno general electric lm 2500 g4 da 32 m abbinate a 4 diesel. a prora sarà installata una elica di manovra oppure, come sulle fremm, un’elica azimutale retrattile in grado di garantire il rientro anche in seguito a gravi avarie all’apparato motore.
una delle caratteristiche fondamentali sarà la modularità con spiccate capacità “dual” ossia, come già per la cavour, la capacità di svolgere missioni militari e di protezione civile mediante l’imbarco o lo sbarco di moduli preallestiti. si potrà disporre di una piattaforma unica, modulare, economica. dal punto di vista della piattaforma, le navi, che avranno indicativamente un dislocamento di 5000 – 5500 tonnellate, saranno realizzate in due configurazioni “base”: la versione “light” destinata a operazioni di pattugliamento e di protezione civile, e una versione “full combat” per operazioni militari tradizionali (con tutte le varianti “intermedie”).
questa modularità avrà grande influenza anche sui potenziali acquirenti i quali potrebbero acquistare una versione light portandola in seguito, con l’acquisto degli elementi necessari, ad uno standard più elevato fino a quello di full combat. nella versione light l’equipaggio sarà di 90-100 persone ma la nave sarà predisposta per ospitare fino a 230 posti letto. l’equipaggio naturalmente aumenterà con l’incremento delle capacità della nave.

(segue...)
 
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vediamo ora alcune caratteristiche costruttive analizzando una full.
lo scafo sarà con ponte continuo tipo flush deck caratterizzato da due sovrastrutture ben distinte. da prora verso poppa le upad saranno dotate di un cannone 127/64 vulcano della oto melara sotto al quale c’è il deposito munizioni, subito dopo il pozzo del sistema di lancio verticale sylver (assente sulle light) probabilmente con 48 contenitori di cui 16 della versione a70 per missili tipo scalp naval e, 32 nella versione a50 per missili aster 15 e aster 30. alle spalle dei lanciatori si eleverà una tuga più simile ad un torrione; ospiterà una plancia innovativa sviluppata su due livelli di cui quello superiore è il classico “bridge” caratterizzato però da una finestratura di quasi 360° e da un camminamento esterno al posto delle ali di plancia che assicura una maggiore visibilità.
al ponte inferiore invece si troverà la vera novità ossia, la “plancia integrata” suddivisa in due aree per la pianificazione delle operazioni (la così detta coc centrale operativa di combattimento) e una prodiera munita di ampie finestre che ospita una plancia di controllo e comando concepita come un cockpit aeronautico con proiezione dei dati come un hud display.
trattandosi di una innovazione assoluta, non è esclusa la realizzazione di un simulatore che consenta di studiare la migliore configurazione possibile.
sopra questo torrione si trova il “mast integrato” unimast della selex, una struttura piramidale su cui sono alloggiati tutti i sistemi elettroni di navigazione, comunicazione e combattimento tra cui il radar mfra 4ff ( 4 facce fisse). si tratta di un’ulteriore evoluzione del radar mfra in dotazione alle fregate fremm che a sua volta è un’evoluzione del radar empar in dotazione ai cacciatorpediniere tipo orizzonte e a nave cavour. questo apparato potrebbe costituire l’aggiornamento in ambito lavori di mezza vita di queste unità maggiori. l’acquisizione del nuovo radar, abbinato ai missili aster 15 e aster 30, consentirà alla marina di disporre di un sistema avanzatissimo contro ogni tipo di minaccia aerea e, all’industria nazionale di offrire sul mercato un prodotto estremamente competitivo. questo nuovo albero è sviluppato indipendentemente dal programma upad ed è costituito da una famiglia di 3 componenti: unimast 300 di alta gamma, unimast 200 di media gamma e, unimast 100 il più semplice ed economico (che sarà installato sulle light).

si è quindi deciso di impiegare un sistema di difesa aerea e antimissile “made in italy” anziché il sistema statunitense aegis costituito dal radar spy-1 e dai missili standard sm-2/3. questa soluzione era stata valutata ma avrebbe significato duplicare i sistemi di difesa aerea imbarcati sulle unità navali italiane considerato che le navi tipo orizzonte e fremm impiegano il radar empar/mfra e i missili aster. certo il radar spy-1 offre alte prestazioni ma, al di là dei costi elevatissimi, la marina non avrebbe avuto nessuna sovranità sul sistema prodotto da lockheed martin (circostanza analoga a quanto accade con l’acquisizione dell’f-35). ragioni che pare abbiano contribuito a indurre la marina a rinunciare al sistema statunitense e a puntare su un nuovo radar multifunzionale a scansione elettronica a facce fisse di selex.

a poppa di questa sovrastruttura si troverà una zona libera del ponte destinata ad accogliere container o gommoni a chiglia rigida tipo rhib, uno per madiere (ossia di traverso) di 7 metri, e due ai lati del fumaiolo fino a 15 metri di lunghezza. il fumaiolo è unico e vi sono raggruppati tutti gli scarichi dell’apparato motore e dei gruppi elettrogeni. alle spalle del fumaiolo un grande hangar fisso ospita due sh-90 o un sh-90 e un eh-101. sotto l’hangar i tubi lanciasiluri da 324mm hanno compiti antisom mentre sotto il ponte di volo si trova un garage per mezzi ruotati come ambulanze, camion, ecc. a cui si accede mediante un portellone/rampa laterale. a seguire una “poppa a sbalzo” ospita un cannone 76/62 davide/dart e missili antinave teseo (non presenti sulla light). nel bulbo di prora un sonar a scafo, coadiuvato da una cortina trainata, ha compiti antisommergibile.

gli allestimenti sono realizzati seguendo gli standard commerciali cots (commercial off the shelf component) mentre per quanto riguarda gli standard costruttivi è in fase di valutazione anche se dovrà essere garantita la galleggiabilità secondo gli standard militari.
i costi dovranno essere contenuti anche per risultare appetibili sul mercato internazionale.
entro i prossimi 6 mesi dovrebbero essere completati i progetti di massima.

UPAD.jpg ID51065_600.jpg
 
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condivido tutto.
sulla parte tecnica, come al solito, non posso che mandarti un applauso virtuale :finger:
 
spettacolare la parte tecnica, come al solito :finger:
non sono d'accordo invece sulla premessa che riguarda l'operazione "mare nostrum", però mi fermo qui' per non andare ot.
ciao e grazie
 
spettacolare la parte tecnica, come al solito :finger:
non sono d'accordo invece sulla premessa che riguarda l'operazione "mare nostrum", però mi fermo qui' per non andare ot.
ciao e grazie

la premessa sull'operazione mare nostrum mi è servita per introdurre le ragioni che hanno portato ad innovativo progetto. l'argomento è "sensibile" ed ognuno ne ha una propria opinione, condivisibile o meno. io, come ho detto, ritengo l'operazione una "cagata pazzesca" (parafrasando un famoso genovese) e spero di essere riuscito a spiegarne le mie ragioni.
comunque, come giustamente dici tu, non è argomento di discussione.
la prossima volta un ricco approfondimento sulle fremm (è già in preparazione...).
 
la premessa sull'operazione mare nostrum mi è servita per introdurre le ragioni che hanno portato ad innovativo progetto.

io francamente non ho capito il nesso tra l'operazione mare nostrum e l'innovativo progetto. a meno che il legame non sia solo l'aver ottenuto quel finanziamento pluriennale di sei miliardi, a questo punto sulla pelle di quei derelitti che viaggiano alla speraindio su pescherecci e canotti; dico sulla pelle nel senso che hanno spacciato la necessità di rimodernare la flotta con quella di salvare il popolo dei barconi.

l'argomento è "sensibile" ed ognuno ne ha una propria opinione, condivisibile o meno. io, come ho detto, ritengo l'operazione una "cagata pazzesca" (parafrasando un famoso genovese) e spero di essere riuscito a spiegarne le mie ragioni.

come dicevo non ho capito, nel senso che per l'operazione mare nostrum la nostra flotta basta e superchia per cui non c'è necessità di spendere i sei miliardi di euro e probabilmente con una frazione piccolissima di quella cifra si mette in piedi una flotta di navi destinata davvero al salvataggio. ce la vedo male la cavour e gli harrier e tutti gli orpelli connsessi per trarre in slavo qualche centinaio di naufraghi.

comunque, come giustamente dici tu, non è argomento di discussione.

beh no dai, hai fatto una paginata sull'operazione mare nostrum collegandola all'ammodernamento della flotta, quindi direi che sia proprio argomento di discussione.
 
condivido i presupposti, e la valutazione sulle attuali funzioni della marina militare nell'operazione "mare loro" (altro che nostro), così come la necessitò di rinnovare la flotta.
tuttavia dissento sulle conclusioni, infatti fonti autorevoli, comunicano che il prototipo sui cui si baserà la prossima flotta militare italiana è questo qui. come si vede è molto più adatto ai moderni compiti della marina.

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io francamente non ho capito il nesso tra l'operazione mare nostrum e l'innovativo progetto. a meno che il legame non sia solo l'aver ottenuto quel finanziamento pluriennale di sei miliardi, a questo punto sulla pelle di quei derelitti che viaggiano alla speraindio su pescherecci e canotti; dico sulla pelle nel senso che hanno spacciato la necessità di rimodernare la flotta con quella di salvare il popolo dei barconi.

come dicevo non ho capito, nel senso che per l'operazione mare nostrum la nostra flotta basta e superchia per cui non c'è necessità di spendere i sei miliardi di euro e probabilmente con una frazione piccolissima di quella cifra si mette in piedi una flotta di navi destinata davvero al salvataggio. ce la vedo male la cavour e gli harrier e tutti gli orpelli connsessi per trarre in slavo qualche centinaio di naufraghi.

beh no dai, hai fatto una paginata sull'operazione mare nostrum collegandola all'ammodernamento della flotta, quindi direi che sia proprio argomento di discussione.

riassumo le tre osservazioni in una unica risposta perché mi sembra che tu non abbia compreso il senso, ma ripeto... non voglio che la discussione degeneri come spesso accade in diatribe su questioni politiche/sociali.


dando per assodato che una flotta con trent’anni di attività se non è vecchia e quanto meno usurata (o come dice il capo di stato maggiore “in via di estinzione”), giunge il momento in cui si rende indispensabile la sua sostituzione.
non essendo prevedibile come sarà il mondo tra dieci anni (ipotizzando in tali termini il tempo necessario al rinnovo), si guarda alle necessità attuali e al mutato impegno al quale sono chiamate le forze armate.
sarebbe sempre opportuno ricordare che la marina militare non ha tra i suoi compiti le operazioni di protezione civile.
ma ormai il “militare umanitario” fa parte dell’immaginario collettivo e nessuno si scandalizza nel vedere i militari rimuovere tonnellate di rifiuti, pattugliare le città per scongiurare scippi o, presidiare discariche abusive (nonostante ciascuno di noi paghi per questi compiti altre istituzioni ed enti).
così la marina spende le sempre più esigue risorse economiche impiegando navi da 60.000 euro al giorno per setacciare il mediterraneo alla ricerca di gommoni, barconi e pescherecci carichi di immigrati clandestini.
il ministro mauro dichiarò che “gli scafisti chiedono 3mila euro a persona per il viaggio della speranza” un barcone può arrivare ad avere ”un carico umano del valore di 3 milioni di euro".

oggi, grazie all’operazione mare nostrum i trafficanti hanno moltiplicato gli “imbarchi” per cui hanno potuto abbassare le tariffe a circa 800 € a testa visto che le miglia da percorrere sono diminuite di molto.
i disperati che si presentano sulla costa, per paura di furti, non possiedono quei soldi il ché si traduce in mesi di lavoro in condizione di schiavitù per racimolare la somma necessaria. le donne sono violentate da miliziani, trafficanti, scafisti e soldati libici. inoltre, la navigazione ridotta contando sulla presenza delle navi italiane, fa si che si utilizzino imbarcazioni sempre più precarie, tanto che spesso si ribaltano appena partite con un incredibile aumento di morti per affogamento.

parliamo di un ulteriore problema, lo screening sanitario. ritieni che il personale militare imbarcato sia preparato ad affrontare situazioni mediche in presenza di virus, contagi, ecc. ecc. ? ma le hai viste li immagini in tv? una tuta di carta usa e getta, un paio di guanti di lattice e una mascherina sul naso. sono misure adeguate? bastano contro ebola? hai parenti, amici, imbarcate su navi militari? ti va di correre il rischio che tuo figlio torni a casa con il vaiolo?
ultime domanda (e qui vorrei una risposta)… sei mai salito su una nave da guerra? in caso affermativo, hai notato l’esiguità degli spazi a bordo? (io sono alto 1,81cm e quando salgo sulle maestrale devo camminare curvo per non battere la testa). mi spieghi come può una nave con 200 persone di equipaggio, accogliere oltre 1000 naufraghi? fisicamente… dove li metti? dove imbarchi il personale sanitario necessario? dove hai una infermeria delle dimensioni adeguate? dove hai i medicinali necessari? sai che le maestrale hanno come mezzi di salvataggio e intervento una motobarca da 6,1 metri e un gommone? dove imbarchi i mezzi necessari?
da queste e da altre mille questioni, nasce l’idea di un nuovo tipo di unità indirizzate a compiti umanitari ma eventualmente rapidamente e economicamente riconfigurabili in un approntamento più “combat”.


condivido i presupposti, e la valutazione sulle attuali funzioni della marina militare nell'operazione "mare loro" (altro che nostro), così come la necessitò di rinnovare la flotta.
tuttavia dissento sulle conclusioni, infatti fonti autorevoli, comunicano che il prototipo sui cui si baserà la prossima flotta militare italiana è questo qui. come si vede è molto più adatto ai moderni compiti della marina.

già... sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere!
 

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