eiar – (il giorno della vergogna).
la radio, che per lungo tempo in italia è stata un genere di lusso, una sorta di status symbol dell’alta borghesia urbana, visti gli alti costi e il difficile processo d’elettrificazione delle aree poco sviluppate, si è rapidamente diffusa grazie al fascismo che vede in essa un mezzo dalle elevate potenzialità pedagogiche e propagandistiche.
grazie alla radio, l’immagine di mussolini si scolpisce nelle menti infantili come quella del buon padre, del bonificatore dell’agro romano, del benefattore, del eroico difensore del suolo patrio, esaltato dal tono enfatico e dalle frasi retoriche degli annunciatori dell’epoca.
alle 19,42 dell'8 settembre 1943, mentre gli italiani ascoltano i "cinguettii" del quartetto cetra e si commuovono con "mamma" di salvatore polcaro, radio eiar interrompe la programmazione per diffondere nell’etere la voce del maresciallo d’italia pietro badoglio il quale, deve fare un annuncio alla nazione.
si tratta del proclama di armistizio con gli alleati.
proclama già letto da eisenhower e trasmesso alle 18,30 da radio algeri.
il ritardo consente ai tedeschi di disarmare e catturare moltissimi soldati italiani che in molti casi, saranno deportati in germania senza nemmeno sapere dell'armistizio.
tutto ha avuto inizio il 25 luglio quando mussolini si rivolge al gran consiglio che lo ha appena sfiduciato approvando la mozione di dino grandi, dicendo:
" signori, con questo ordine del giorno avete aperto la crisi del regime".
in realtà, come dichiarato da uno dei più autorevoli esponenti del regime, giuseppe bottai (ex ministro delle corporazioni e della educazione nazionale, fondatore e direttore della “critica fascista”), tutto aveva avuto inizio con lo sbarco alleato in sicilia (l'operazione husky). quella operazione militare palesò la totale inadeguatezza del regime di fronte alla situazione. come già era accaduto a caporetto nel 17, le autorità si erano date alla latitanza a cominciare dal recidivo badoglio. ma è tutto il sistema ad essere in crisi. nessuno crede più al mito del “mussolini che ha sempre ragione”. la guerra è irrimediabilmente perduta e la speranza è di riuscire ad abbandonare i tedeschi al loro destino. ma per riuscire a sganciare il pericoloso alleato occorre prima liquidare il duce. di questo ne è convinto il re che, conscio delle pesantissime responsabilità per aver consentito venti anni di dittatura, cerca ora il modo di salvare la faccia della “real casa”.
il 5 febbraio 1943, con il diffondersi della convinzione che la guerra sia ormai perduta, mussolini opera una serie di radicali cambiamenti tra le cariche dello stato rimuovendo coloro che ritiene ostili alla prosecuzione del conflitto a fianco dell'alleato germanico. alle 16,30 convoca addirittura il ministro degli esteri galeazzo ciano (suo genero) e lo liquida su due piedi nominandolo ambasciatore presso la santa sede. l'epurazione continua anche nei mesi seguenti e riguarda anche coloro che erano ritenuti più vicini al re che al fascismo. questo convince probabilmente vittorio emanuele a progettare un piano che consenta la destituzione del duce. una delle sostituzioni più significative è quella del capo di stato maggiore, il generale ugo cavallero che viene rilevato dal generale vittorio ambrosio, un monarchico sincero e un antitedesco convinto. lo dimostrerà ai primi di marzo quando a goering, in visita a roma per chiedere l’invio di 50.000 soldati italiani in germania, opporrà il suo rifiuto. ambrosio riteneva che fosse necessario richiamare in patria tutti i soldati che si trovavano dislocati all’estero, sganciarsi dai tedeschi e, chiedere una pace separata. inoltre il re avrebbe dovuto sostituire mussolini qualora questi si fosse rifiutato. bisognava insomma portare il paese fuori dalla guerra a tutti i costi. ambrosio tentò di convincere mussolini a parlare con hitler durante l’incontro di salisburgo del 7-10 aprile ma quando il duce si trovò di fronte il capo nazista, non riuscì ad aprire bocca. il fallimento di salisburgo convinse il re ad affrettare il colpo di stato.
a questo scopo fu avvicinato dino grandi, uno dei gerarchi più intelligenti che non aveva temuto di proporsi quale antagonista di mussolini nel partito nazionale fascista. il conte dino grandi, apparteneva alla borghesia agraria emiliano-romagnola e, al contrario di mussolini, era un deciso anti-socialista. ma nel biennio rosso del 1919-20, aderì ai "fasci di combattimento" rivendicando la paternità emiliana-romagnola del fascismo. diventerà sottosegretario, ministro, ambasciatore, fino ad essere considerato il naturale successore del duce.
grandi deve quindi essere considerato il traditore di mussolini?
contattato dal conte d' acquarone, ministro della real casa e, dallo stesso maresciallo badoglio, nei colloqui grandi convenne che l'epoca del fascismo originale, quello dell'idea pura dei fasci di combattimento era ormai finita ed il regime si era trasformato in semplice sistema di gestione del potere. sulla base di queste convinzioni riuscì a coinvolgere altri importantissimi gerarchi come giuseppe bottai e addirittura il genero del duce galeazzo ciano e fu con essi che diede vita all'ordine del giorno da presentare al gran consiglio del fascismo il 25 luglio 1943.
e’ già dal 1942 che grandi è certo che l'italia non può vincere la guerra e un anno dopo, con il paese in ginocchio e mussolini sempre più avulso dalla realtà, vede nel re l'unico punto di riferimento certo, traendo la conclusione che l'unico modo per salvare il fascismo è destituire il duce.
lo sbarco in sicilia fa precipitare la situazione. la crisi al vertice è manifesta e i gerarchi vogliono parlare con mussolini che, ormai rassegnato, accetta di convocare il gran consiglio anche se, a causa di un altro incontro programmato con hitler a feltre sulla situazione militare in sicilia, non viene fissata alcuna data.
durante questo incontro il capo del nazismo si lasciò al solito monologo nel quale dichiarava che secondo lui nulla è perduto a patto che gli italiani si fossero lasciati guidare, anzi comandare, dai tedeschi.
neanche in questa occasione mussolini riuscì a parlare e il colloquio si concluse con un nulla di fatto.
nel frattempo veniva preparata la riunione del gran consiglio con la quale si intendeva togliere a mussolini la responsabilità della condotta della guerra destituendolo. la mattina del 22 il re ricevette il duce cercando di convincerlo a farsi da parte ma questi fece finta di non capire. il gran consiglio viene riunito alle 17 di sabato 24 luglio proseguendo fino all’alba del giorno seguente. quando prende la parola grandi, tutti, compreso mussolini, conoscono il contenuto dell'ordine del giorno. si tratta di un documento nel quale si invita il duce a chiedere al re di assumere il comando delle forze armate vista l’inevitabilità della sconfitta e le responsabilità del capo del fascismo.
il 26 luglio mussolini chiese udienza a vittorio emanuele iii che accettò di vederlo alle 17 presso villa savoia. quando il re si trovò davanti mussolini, gli comunicò la sua decisione di destituirlo e lo fece arrestare nominando badoglio capo del governo (anche se a grandi era stato “promesso” quale capo del governo il generale caviglia, preferito a badoglio). questo evento tradisce la sua aspettativa di un passaggio politico del potere oltre a metterlo in una doppia scomoda posizione: traditore agli occhi dei tedeschi, promotore di eventuali complotti secondo badoglio. grandi lasciò l'italia rifugiandosi prima in spagna e poi in portogallo (dove rimarrà fino agli anni 60) mentre i suoi familiari rimasti in italia, rischiarono seriamente di essere deportati dai tedeschi. poi nel 1944 si svolse il processo di verona contro i traditori del fascismo e tra gli altri, venne fucilato anche il “fascistissimo” galeazzo ciano, marito di edda mussolini, la figlia del duce. nonostante tra grandi e ciano non fossero mai intercorsi buoni rapporti, grandi ne onorò la morte affrontata secondo lui, con la dignità del mito fascista della "bella morte".
dino grandi passò quindi alla storia come l'anti mussolini per eccellenza uscendo vincitore dal voto del 25 mentre in realtà, non c'era niente da vincere.
il fascismo era già morto.
la nomina di badoglio a capo del governo e la caduta di mussolini avevano suscitato l'entusiasmo del popolo, illuso che la guerra fosse finalmente finita. gli italiani si riversarono nelle strade a manifestare la loro contentezza. sembrava che tutti avessero una fiducia illimitata nel re. invece, questi eventi non significavano la fine della guerra, che anzi, continuava "a fianco dell'alleato germanico". un pericoloso doppio gioco mentre in realtà si cercavano i canali diplomatici giusti per giungere ad una pace separata.
ma cosa successe nel frattempo in germania? il 25 luglio 1943 era in programma la consueta riunione del quartier generale alla wolfschanze (la tana del lupo). la riunione cominciò con l’analisi della situazione in sicilia, fino alle 5 del pomeriggio non si fece parola della situazione italiana, poi il fuhrer chiese notizie sulla riunione del gran consiglio. gli venne risposto che pareva che il duce fosse stato indotto a lasciare la carica e che il suo posto era stato preso da un certo orlando. a questo punto hitler se la prese con farinacci convinto che fosse l’autore della congiura contro il duce: “il buon farinacci può considerarsi fortunato ad aver fatto una cosa simile a mussolini e non a me. se l’avesse fatta a me, lo avrei consegnato alle ss di himmler. e’ così che si deve fare”.
il giorno seguente la riunione venne ripresa. la notizia della caduta di mussolini lo aveva sconvolto e ora voleva vendetta. così venne dato ordine di procedere con l’operazione “alarico”ossia l’occupazione dell’italia. “chi ha preso il posto di mussolini?” chiese jodl “badoglio”, rispose hitler “ossia il nostro peggior nemico”.
(segue...)