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波の上および下

  • Thread starter Thread starter Exatem
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:eek: perdindirindina, corpo di mille balene, arcipuffolina.... me la sono persa, scusate il ritardo!................ ma sono sempre in tempo vero? :biggrin:
manca solo un buon prosecco.........e poi il dolce!:36_1_1:

ma ultimamente sei sempre "arruffata"! tranquilla, serena, non c'e niente di meglio che una piatto così, un bicchiere di vermentino "autoctono", un dolce cioccolatoso (vero?) cullati dalla brezza marina e con una vista
come....

che altro vuoi dalla vita. un lucano?
 

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sopra e sotto le onde

una nuova arma, la portaerei

portaerei aquila.
dopo la tragedia di capo matapan venne riconosciuta l’assoluta necessità di dotare la marina italiana di portaerei. il comando supremo decise che non si poteva ulteriormente rinviatre e mussolini stesso, ne ordinò la costruzione. già nel 1936 si era individuato nel transatlantico “roma” della società navigazione italiana, lo scafo più adatto ad essere trasformato in una portaerei di squadra e si era provveduto a realizzare due differenti progetti.
il primo, giudicato inadatto, prevedeva la demolizione di tutte le sovrastrutture sino al ponte delle lance, l’eliminazione delle cabine, corridoi, saloni per la realizzazione di un hangar a cui era sovrapposto il ponte di volo servito da due elevatori. l’apparato motore sarebbe rimasto quello originale e avrebbe fatto raggiungere alla nave la velocità di 21 nodi trasportando circa 30 aerei.
il secondo progetto, ad opera del col. del genio navale luigi cagnotto, prevedeva l’allungamento della carena sia a prora che a poppa in modo da migliorare il rapporto lunghezza/larghezza e l’installazione di un nuovo apparato motore costituito da quattro diesel da 65.000 hp totali in grado di far raggiungere alla nave i 25 nodi. la linea si ispirava alle giapponesi “akagi” e “kaga”, assenza dell’isola, ponte hangar continuo da prora a poppa, sormontato da un ponte di volo di circa 60 m. la parte a prora, non coperta dal ponte di volo, avrebbe consentito il decollo anche dal ponte hangar. in teoria si sarebbero potuti effettuare contemporaneamente decolli e appontaggi. anche questo progetto venne scartato.
nel luglio del 1941 venne ordinato al generale del genio navale carlo sigismondi di iniziare la trasformazione del roma. per la realizzazione dei disegni e la ricerca di materiali,occorsero cinque mesi. per la motorizzazione, si optò per due apparati bielica costituiti da caldaie e turbo riduttori destinati a due incrociatori della classe “capitani romani” ai quali si era rinunciato, il “paolo emilio” e il “cornelio silla”. ogni gruppo aveva 53.000 hp per un totale di oltre 200.000 hp, ossia la nave più potente della flotta. ma la velocità di progetto di olte 30 nodi, avrebbe generato un onda di prora eccessiva. per limitarla si applicò allo scafo una controcarena che avrebbe inoltre incrementato l’altezza metacentrica migliorandone la stabilità. per realizzare la protezione, si realizzò una fitta compartimentazione e una blindatura orizzontale in corrispondenza dei depositi munizioni e carburanti. le controcarene esterne vennero riempite con uno spessore di 40-80mm in cemento, lo spazio tra carena e controcarena, rinforzata da paratie longitudinali di 5,5 m avrebbe assorbito l’eventuale onda d’urto realizzando così la protezione subacquea. due caldaie e un turbo riduttore costituivano un gruppo. ogni gruppo era sistemato in un locale apposito, quattro locali separati tra loro da doppie paratie stagne che avrebbero garantito il funzionamento anche con due locali allagati. il ponte di volo era servito da due elevatori posti uno a centro nave e l’altro a prora e, da due catapulte “demag” ad aria compressa. l’hangar aveva una lunghezza di 160m e una larghezza di 18, era diviso in quattro locali e poteva accogliere 26 aerei oltre ad altri 15 appesi al soffitto. con altri 10 posteggiati sul ponte di volo, la componente aerea ammontava ad un totale di 51 velivoli. al momento che si fossero resi disponibili aerei ad ali ripiegabili, il loro numero sarebbe salito a 66. l’aereo da imbarcare sarebbe stata una versione navalizzata del reggiane re.2001. l’armamento era costituito da 8 pezzi singoli da 135/45mm, 12 pezzi singoli da 65/54 e 132 mitragliere 20/65 in impianti sestupli. l’isola a più piani era costituita da un torrione di comando e dal fumaiolo ben separato ed era posta sul lato di dritta della nave. avrebbe ospitato in apposite piazzole, la maggior parte dei 22 complessi da 20mm. altre piazzole erano sul lato opposto e ospitavano anche armamento antisiluranti.
nel novembre del 42, durante l’allestimento in corso a genova, venne colpita durante un bombardamento aereo da alcune bombe incendiare e dirompenti che danneggiarono il ponte di volo. per proteggerla maggiormente, venne fatta uscire dal bacino e ormeggiata di poppa allo scafo del “silla” ancora privo di sovrastrutture. le due navi vennero unite da una copertura in lamiera che doveva imitare una banchina, ingannando così gli aerei nemici. anche se il trucco funzionò, i tempi di lavoro si allungarono. nel luglio del 43 vennero eseguite una serie di prove all’apparato motore che diedero esiti molto soddisfacenti e si ritenne di poter eseguire le prime prove in mare entro ottobre. ma arrivò prima l’8 settembre. la nave ormai pronta al 90% venne sabotata dall’equipaggio per non farla cadere in mano tedesca i quali però se ne impadronirono. il 16 giugno del 44 venne bombardata da aerei americani e il 19 aprile del 1945 fu attaccata dai mezzi d’assalto della marina italiana allo scopo di evitarne l’affondamento all’ingresso del porto da parte dei tedeschi. semisommersa, venne recuperata e trasferita a la spezia dove nel 52, fu demolita. nonostante tutti gli sforzi, non entrò mai in servizio.
dati tecnici della portaerei aquila.
lunghezza 232,5m – larghezza 30,05, immersione 7,3.
dislocamento 28.380 ton.
app. motore: 8 caldaie yarrow - 4 gruppi turbine parson - 4 eliche – potenza: 148.000hp velocità 30 nodi.
protezione verticale 600mm – orizzontale 76mm (ponte di volo) – depositi carburante 60mm – depositi munizioni 80mm.
 

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un saluto a tutti da un "amico".

p.s.: exatem che ne dici se posto l'ultima puntata?
:smile:
 
un saluto a tutti da un "amico".

p.s.: exatem che ne dici se posto l'ultima puntata?
:smile:

era infatti mia intenzione concludere questa puntata quindi pubblicare quanto recentemente ricevuto dal mio amico.
siccome è giusto che sia reso onore al merito, lo spazio è tutto tuo.
io mi siedo sul divano.
ciao :finger:
 
sopra e sotto le onde

una nuova arma, la portaerei…

aquila
sotto l’aspetto tecnico navale, la trasformazione fu un risultato di assoluto valore. questo mi permette di introdurre una descrizione sommaria delle difficoltà di una riconversione di questo genere. e’ una argomento molto interessante che ho avuto modo di conoscere avendo effettuato alcune trasformazioni, anche se certamente non così importanti, ma che hanno comportato una serie di problematiche da risolvere.
negli anni 20 la configurazione che oggi conosciamo e che consiste in un ponte continuo da poppa a prora, non si era ancora affermata. molti progettisti dell’epoca pensavano a soluzioni a due ponti di cui uno a prora destinato al decollo e uno a poppa di dimensioni maggiori per l’atterraggio. era una soluzione che aveva alcuni vantaggi ma molti più svantaggi. infatti era relativamente semplice trasformare una grossa nave da battaglia. si dovevano rimuovere le torri dei cannoni e demolire le sovrastrutture ottenendo il ponte di coperta praticamente piano. sopra di questo si realizzava il ponte di volo che fungeva così da copertura degli hangar a questo collegato da elevatori. dal punto di vista dell’architettura navale questa soluzione aveva dei vantaggi. abbiamo visto nei capitoli precedenti come la posizione verticale del baricentro sia un parametro fondamentale sulla stabilità di una nave. a parità di condizioni, più il baricentro è in alto, meno stabile sarà la nave. realizzare un ponte di volo sopra il ponte di coperta, rappresentava un notevole aggravio di peso in posizione molto alta con la conseguenza di alzare il baricentro quindi, se questo ponte era limitato a ¾ della nave, si risparmiava un bel po’ di peso. di contro, eliminando le torri dei cannoni, si eliminava molto peso concentrato in basso (infatti, anche se la torre è superiore al ponte di coperta, tutte le strutture a lei asservite, scendevano molto in profondità nello scafo ed erano molto pesanti). per riequilibrare il peso, l’alternativa fu di ridurre gli spessori delle corazzature ed abbassare o addirittura eliminare il ponte corazzato posto più in alto e le protezioni orizzontali. questa scelta tecnica causò la perdita di numerose portaerei giapponesi durante la seconda guerra mondiale. inoltre il ponte di coperta a prora, basso sul livello dell’acqua, rendeva pericolosi i decolli e spesso era bagnato dal mare. la akagi venne infatti rimodernata nel ‘35 e trasformata con la realizzazione di un unico ponte. questa si rivelò la soluzione più idonea. le sovrastrutture vennero concentrate nell’isola posta sul lato di dritta della nave perché gli aerei dell’epoca avevano le eliche rotanti in senso orario e questo faceva tirare l’aereo verso sinistra (e questa soluzione è rimasta anche ai giorni nostri). e’ evidente che tale zona era meglio fosse sgombra da ogni ostacolo. si studiarono varie soluzioni per i fumaioli, ad esempio la “ranger” americana ne aveva sei, tre per lato, che potevano essere abbattuti. per la maggior parte però delle navi si scelse la soluzione ad unico fumaiolo anche se questo costringeva i progettisti a concentrare le caldaie molto vicine fra loro rendendo la nave molto più vulnerabile. dal punto di vista strutturale emersero due scuole di pensiero: quello inglese che prevedeva un ponte di volo resistente e, quello utilizzato dalle altre marine che invece aveva il ponte di volo non resistente. la soluzione inglese prevedeva di realizzare un ponte di volo molto robusto con conseguente “importante” struttura di sostegno ponendo molta attenzione nella realizzazione degli elevatori i quali, trattandosi di aperture, ne indebolivano la struttura. ma abbiamo già detto che la nave si comporta come una trave appoggiata costituita dal fondo, dai fianchi e dai ponti orizzontali. durante la flessione della trave, il fondo e i ponti superiori vengono maggiormente sollecitati quindi più i ponti sono alti, maggiormente resistenti dovrebbero essere. questo significa realizzare strutture robuste ma pesanti peggiorando la stabilità a seguito dell’innalzamento del baricentro. per evitare questo, si studiò la soluzione di “staccare” dl punto di vista strutturale i ponti più alti dal resto dello scafo in modo che fossero meno sollecitati e quindi necessitassero di strutture più leggere ripristinando le ideali condizioni di stabilità. inoltre la soluzione così adottata, permetteva di ottenere hangar molto spaziosi, capaci di ospitare più aerei anche su più livelli. si affermò questa seconda soluzione che rappresenterà lo schema costruttivo delle più moderne portaerei.

con questa puntata si conclude il ciclo dedicato al periodo di transizione tra le due guerre. come ho detto nel post precedente lascio ora la parola al presidente.
e mi accomodo.
 
come il vapore trovò il suo ambiente ideale nelle calme e tortuose acque dei fiumi nordamericani, subito si cercò di farne un uso militare.
partendo da esigenze simili (conquistare il controllo delle vitali vie d'acqua), ma seguendo un percorso completamente originale, i due contendenti arrivarono a due realizzazioni contemporaneamente sconvolgenti ed ammirevoli.
i confederati ebbero a disposizione un "pirovascello" (vascello a vela con motrice a vapore) che dopo alcune vicissitudini di guerra era disponibile per un esperimento, costruire una sorta di chiatta fluviale armata, disalberato, ridotto al solo primo ponte di cannoni, abbattuti tutti gli orpelli e mantenuta solo la motrice a vapore, era diventato una specie di pontone armato di una fila di cannoni.
però pensare di percorrere un fiume sotto il controllo del nemico aspettando le sue cannonate non era salutare considerato il fatto che lo spazio di manovra era praticamente inesistente (la sola larghezza del fiume), era necessario proteggersi con una sorta di corazza resistente ai colpi del nemico.
il moncone di scafo avanzato dopo "l'alleggerimento" venne ricoperto da una sorta di tetto spiovente realizzato con un doppio strato di binari ferroviari al posto delle tegole.
la rozza realizzazione era, si rudimentale e "consona" con lo spirito tipicamente "poco nobile" del nuovo mondo, ma era una vera corazzata fluviale, la tennessee avrebbe fatto strage del nemico se gli yankee altrettanto "mossi" da incosciente fervore tecnologico, non avessero deciso di inventarsi un nuovo strumento da battaglia fluviale.
anche al nord avevano la fissazione di "sgominare" il nemico spazzandolo via dai fiumi a cannonate, ma più tecnologici e "riflessivi" i nordisti erano coscienti che le classiche "danze" che i marinai d'acqua salata erano "avvezzi" a compiere sui mari (una specie di inseguimento sul posto, degno delle migliori partenze da "coppa america", per esporre, prima il fianco e disalberare il nemico a cannonate, per poi speronarlo o abbordarlo una volta paralizzato) erano impensabili su un fiume e pensarono, argutamente, di mettere pochi (due) ma potenti cannoni in una torretta girevole (geniale) tutta corazzata (come il ponte della nave).
in questo modo si sarebbe potuto sparare in ogni direzione continuando a navigare nella direzione del fiume.
per poter avere il campo libero lo scafo era completamente appiattito sporgendo dall'acqua poche decine di centimetri.
questa sorta di pontone corazzato era orrendo a vedersi, una sorta di carro armato galleggiante pensato e disegnato da un malevolo scrittore di orrende fiabe per spaventare i bambini, ma alla fine il monitor (così venne chiamata la scatola di ferro nordamericana) si scontrò con il suo, altrettanto inquietante omologo sudista, il tennesee, in uno scontro che dobbiamo per forza di cose chiamare "epico", dove si scambiarono decine di "bordate" con gli equipaggi accecati dal fumo delle caldaie a "tutto vapore", intossicati dai gas delle esplosioni e più preoccupati di non arenarsi che di agguantare il nemico, dopo ore, stanchi e scoraggiati, presero ognuno la strada di casa, convinti entrambi del fallimento delle rispettive macchine da guerra.
talmente delusi per l'inefficacia dei colpi inferti, da convincere i sudisti a recuperare il ferro per migliori e più nobili impieghi, e i nordisti a desistere di cercare nuovamente lo scontro, per poi perdere il pontone corazzato alla prima burrasca in mare (oltre alla forma, aveva anche le qualità nautiche, di un ferro da stiro).
la disillusione fu cocente e i contendenti non si resero conto di aver inventato tutto quello che sarebbe poi stato necessario negli oceani nei 50 anni successivi.
era stato inventato lo scudo, che per inefficacia della spada, era più forte, la "corazza" di memoria medioevale aveva conquistato la marina, quella "minore", ma in breve avrebbe fatto la rivoluzione.
quando era il remo a dominare i mari lo "scopo finale" dello scontro era la distruzione dei remi dello scafo avversario per poi passare allo speronamento o all'arrembaggio del nemico oramai incapace di manovrare, con lo sviluppo delle vele e degli alberi le "attenzioni" si spostarono dai remi (scomparsi) alle alberature per poi passare sempre alla solita "cura" di romana memoria.
certo speronare uno scafo, anche fermo, manovrando vele e velacci era un'impresa non facile e l'arrembaggio veniva più facile.
il cannone, rigorosamente ad anima liscia e ad "avancarica" sparava "palle" di piombo, ma più spesso rottami e pezzi di catena, lo scopo era quello di "spazzare" i ponti dell'odiato avversario da uomini ma, soprattutto dagli alberi.
le navi manovravano (lentamente) per riuscire a mostrare i fianchi e scaricare le "bordate" dei loro cannoni, dopo decenni di allenamento una "scarica" singola di centinaia di colpi poteva disalberare istantaneamente un bastimento e renderlo "immobile" alla mercè dei rampini.
la bordata era poderosa quanto imprecisa, le distanze si misuravano a decine di metri.
un galeone a tre ponti era impressionante per la potenza di fuoco, nella pratica i cannoni erano dei veri "archibugi" rumorosi e pericolosi per il nemico quanto per i suoi cannonieri, questi per ripararsi dai colpi avversari cominciarono a "rintanarsi" dietro a strati di quercia sempre più spessi, la corazza era efficace, ma la sardegna perse le sue foreste e la lingua più in voga nelle falegnamerie algheresi diventò il catalano.
per lungo tempo, spagnoli, inglesi e francesi si presero a cannonate lanciandosi improponibili proiettili di ferro grossi come palle da bowling ma capaci di fare devastazioni sulle infrastrutture degli avversari.
il cannone cominciò ad evolvere e i sui proiettili a diventare più pericolosi, per prima cosa le "palle" diventarono esplosive e quando non esplodevano direttamente dentro il cannone devastavano i ponti degli avversari esplodendo in migliaia di micidiali schegge, rimanere sui ponti durante gli scontri era insano e le "murate" diventarono sempre più alte e spesse, le navi in combattimento diventavano deserte con tutto l'equipaggio nascosto sottocoperta e le "palle" poco o nulla potevano fare contro mezzo metro di ottima quercia.
quando le locomotive iniziarono a "navigare" gli ammiragli compresero che una nave anche disalberata, manteneva una residua capacità di movimento e di manovra, il vapore improvvisamente diventò utile anzi indispensabile, un "pirovascello" aveva l'arma segreta che gli permetteva di continuare a muoversi anche se sottoposto a ripetute bordate.
i "pirovascelli" persero molti cannoni (dovevano compensare il peso di caldaie, motrici, carbone, acqua, elica e albero motore) e diventarono eleganti fregate.
queste "dannate" fregate erano pericolosissime, nelle incredibili mischie di galeoni a vela girovagavano veloci e sfuggenti disalberando le grosse e lente navi nemiche, lasciandole immobili alla mercè dei rampini. riuscire a colpire una sbuffeggiante fregata era impossibile, si muoveva troppo velocemente ed in maniera imprevedibile, senza seguire la legge del vento, anche un fortunoso colpo non riusciva a fermarla con il motore nascosto all'interno dello scafo.
era necessaria una serie di contromisure importanti.
intanto la ritrovata manovrabilità riportò in auge gli speronamenti e le navi a vapore misero nuovamente in mostra i rostri di antica memoria, poi l'attenzione si spostò dagli alberi (anche eliminandoli le "dannate" fregate continuavano a muoversi) agli scafi dentro cui erano nascoste le "macchine", penetrare la quercia e sfondare ponti e paratie non era facile, si cominciò a provare aumentando il calibro dei cannoni, operazione relativamente semplice ma di dubbia efficacia, aumentando il peso del proiettile diminuiva anche la già ridotta portata, gli studi e la razionalizzazione della combustione delle cariche di lancio diedero una mano a migliorare l'efficacia dei grossi calibri.
la polvere non esplodeva più istantaneamente nella canna, ma innescava una vera combustione, più lenta ma in grado di spingere il proiettile per più tempo, le canne si allungarono per dare il tempo alla pressione del gas in espansione di spingere il proiettile fuori dalla canna ad una velocità superiore.
contemporaneamente si era capito che il proiettile non doveva tentare di "sfondare" il fianco della nave, ma doveva "penetrarlo" con forme appuntite. il fenomeno era chiaro da tempo, il problema irrisolto era quello di mantenere il proiettile nella giusta posizione fino all'impatto, cosa praticamente impossibile.
comunque i nuovi grossi calibri riuscivano, se ben diretti a fare scempio dei robusti fasciami in legno.
per riuscire a colpire le mobilissime fregate i marinai d'acqua dolce avevano suggerito la soluzione, mettendo il cannone in una torretta girevole era possibile dirigere il colpo anche se la direzione della nave non era propizia.
meglio due giganteschi cannoni in torretta che centinaia di piccoli e
inutili cannoni fissi sulle fiancate.
 
il "monitor" aveva fatto scuola e i vascelli cominciarono a fare spazio sui ponti per le torri corazzate (anche se solo aperte, protette da "barbette"), il problema era dare campo libero alle traiettorie di tiro, cosa complicatissima e che impegnò i progettisti per altri 50 anni.
una nave da battaglia a vapore armata da una coppia di torri corazzate armate ognuna da due cannoni ad avancarica da 405 mm di diametro, era capace di devastare qualsiasi scafo con una (serie) di bordate.
i proiettili, appuntiti, penetravano le pareti ed esplodevano all'interno con conseguenze devastanti, la spada era diventata troppo forte e lo scudo doveva essere rinforzato.
il legno era un ottimo schermo, robusto ed elastico poteva dissipare una quantità enorme di energia, le semplici palle rotonde, per quanto pesanti e grandi, poco potevano contro decine di centimetri di robusto legno, magari una ripetuta serie di colpi poteva disarticolare giunzioni e collegamenti del fasciame.
gli inglesi, maestri di costruzioni navali e proprietari delle indie avevano scoperto che strati successivi di legno di tipo diverso (teak e quercia) poteva resistere quasi indenni alle più potenti bordate francesi, questo sandwick era impressionante, ma i proiettili "a punta" si incuneavano nelle fibre del legno aprendosi un passaggio fino all'interno dello scafo, il legno da solo non bastava. qualche nave aveva lo scafo rivestito in prezioso rame, erano navi costosissime e la protezione era utile per proteggere il legno dall'invecchiamento a contatto con i microrganismi del mare.
queste navi risultarono molto resistenti agli sfondamenti sulle navi da esplorazione ai poli, dove il ghiaccio non perdonava i poveri vascelli in legno.
rivestire in rame uno scafo era utile, ma per resistere alle "punte" serviva un materiale più tenace, il ferro.
ricoprendo il legno con uno strato di ferro si riusciva a "imbrigliare" il proiettile e a farlo deformare perdendo la capacità di penetrazione.
il legno venne rivestito in ferro e nacque la corazzata, certo la tennesee (l'avversario del monitor) era stata un ottimo precursore, ma la sua formidabile corazza di binari ferroviari dovette attendere quasi un secolo per trovare confermata la sua validità.
la corazza sempre più spessa resisteva ai colpi ma le lastre chiodate tendevano a sconnettersi aprendo pericolose falle, la corazzata si sviluppava velocemente, gli inglesi compresero per primi il potenziale di una nave corazzata in grado di dare la caccia alle micidiali fregate francesi, misero mano alla warrior, nave rivoluzionaria e ammirevole.
vedendola in acqua sembrava addirittura tradizionale, con alberi vele e la sua bella fila di inutili cannoni, ma lo scafo era una rivoluzione, faceva la ruggine.
era completamente di ferro, una follia, aveva le basi delle future costruzioni navali e la warrior, alla sua comparsa, diventò il testo su cui tutti i costruttori navali dovettero studiare.
lo scafo era tutto in ferro, struttura e corazza, le lastre di corazza erano montate su uno strato di legno che assicurava una sorta di ammortizzazione nel momento del colpo, le lastre di ferro erano ancorate su un morbido ed elastico materasso in legno che le manteneva in posizione, la zona corazzata era una cintura che proteggeva lo scafo nella zona di galleggiamento, qui lo spessore era superiore ai 100 mm.
arretrata di un paio di metri rispetto alla fiancata c'era una paratia stagna per tutta la lunghezza dello scafo e in corrispondenza della zona corazzata, quando un colpo arrivava a segno anche se la pesante piastra si deformava e lo scafo perdeva la tenuta all'acqua, l'intercapedine (cofferdam), riempita di carbone assicurava una seconda robusta barriera.
le preziose caldaie erano protette dietro a questi spessi muri corazzati e protetti da metri cubi di carbone.
la warrior poteva affrontare i cannoni con serenità ma, come sempre, per poco tempo la corazza mantenne il primato.
i cannoni erano in grado di sparare pesanti palle a poche centinaia di metri con un "alzo" trascurabile, traiettorie che se fortunate, colpivano i fianchi delle navi, la cintura corazzata era sufficiente, ma con le nuove lunghe canne i proiettili volavano molto più lontano e i cannoni cominciarono a sparare puntati verso il cielo, le parabole discendenti arrivavano dall'alto e spesso precipitavano dentro le navi attraversando i ponti e scavalcando il muro corazzato.
ecco che nasceva una nuova corazza, una specie di coperchio che a forma di testuggine proteggeva lo scafo appena sopra la linea di galleggiamento.
alla fine non si poteva proteggere tutto con le pesanti corazze e allora venne istituito una sorta di "fortino" supercorazzato a centro nave dentro cui era protetta la santabarbara e le preziose caldaie, sotto c'era il coperchio corazzato e sopra le torri oppure i cannoni sui fianchi, era chiamato "ridotto corazzato" che subì continue evoluzioni per proteggere il più possibile, l'indispensabile.
il cannone cresceva di potenza, ma era goffo e impreciso, caricare un cannone ad avancarica da 480 mm di diametro dalla bocca era una operazione grottesca, lenta e pericolosa, la torre corazzata dopo aver sparato la "salva" doveva ruotare per portare le canne nella posizione di ricarica per poi tornare "in batteria".
le canne si allungavano e la distanza dei colpi aumentava arrivando a diversi chilometri, ma la precisione scendeva drammaticamente, alla fine si preferiva prendersi a cannonate "a tradimento".
poi due cose cambiarono, la rigatura delle canne e la retrocarica, con la canna rigata il proiettile diventa un giroscopio stabile sulla sua traiettoria e diventa possibile colpire a 15 chilometri di distanza, le canne non si possono più caricare dalla bocca e si caricavano dalla "culatta", finalmente il cannone diventa moderno e il proiettile diventa un sofisticato sistema per penetrare le corazze ed esplodere dentro le navi.
in pochi anni i 110 mm di spessore della warrior diventano folkloristici di fronte alle nuove corazze da 300, e presto si aumenterà ancora.
l'evoluzione fu velocissima, in pochi anni le corazzate arrivarono a pesare anche 12000 tonnellate con corazze enormi e con torri disposte nelle maniere più disparate cercando di dare il maggior campo di tiro libero ai cannoni.
la velocità a vapore (dopo la warrior gli alberi erano quasi spariti) era scesa a 12 nodi, le corazzate erano lenti e pesanti pachidermi che incutevano il terrore ma che era molto difficile tenere a galla.
vivere dentro un sarcofago di lamiera di decine di centimetri di spessore senza ventilazione e senza aperture era un inferno, i fuochisti delle caldaie erano dei derelitti che soffrivano come cani condannati a vivere perennemente in vere fornaci arroventate, la saturnite (malattia causata da carenza di vitamine per scarsa esposizione alla luce del sole) dilagava così come le rivolte.
non a caso l'inizio della rivoluzione sovietica la si fa coincidere con la rivolta della corazzata potemkin ennesima di una serie infinita.
intanto che la ventilazione si affidava ad una selva di maniche a vento e i ventilatori faticavano ad affermarsi, i proiettili perforanti diventavano sempre più pericolosi e le corazzate sempre più pesanti e lente. i primi cannoni di grosso calibro erano molto imprecisi e non erano in grado di colpire efficacemente alle lunghe distanze, dove invece una nuova generazione di "medio calibri" (intorno ai 150 mm) facevano miracoli, moderni cannoni a retrocarica riuscivano a sparare anche a 8-10 km di distanza, il vero problema era calcolare con precisione simili tiri.
le corazzate a cavallo dei due secoli avevano poche enormi bocche da fuoco per il colpo finale e decine di calibri intermedi per colpire a distanza e difendersi dal naviglio "sottile".
 
più le corazzate erano lente e più ci si convinceva che una nave più leggera e meno corazzata avrebbe potuto mettere in difficoltà questi pachidermi.
cominciò la lunga evoluzione dell'incrociatore corazzato (protetto prima, da battaglia poi), in origine una veloce fregata (18 nodi) protetta in modo leggero ed armata di efficienti medi calibri, nave veloce con cannoni precisi a dal tiro rapido, potevano mettere in difficoltà le corazzate contando sulle capacità di penetrazione dei nuovi proiettili.
questa buona idea si scontrò con l'evoluzione repentina del cannoni e delle corazze, sempre più evolute, ben presto cannoni da 280 mm a retrocarica e armati con proiettili perforanti erano in grado di colpire 20 chilometri di distanza qualsiasi nave avversaria ed un, per quanto veloce incrociatore protetto aveva poche speranze di avvicinarsi alla portata dei suoi medi calibri, ecco che l'incrociatore montò gli stessi cannoni delle corazzate e diventò "da battaglia".
il vero problema era "mirare" a 15 o 18 chilometri, il proiettile rimaneva in aria per diversi minuti e un errore, anche minimo, nel calcolo della posizione del bersaglio costava centinaia di metri di errore nel punto di impatto, il povero marinaio sulla coffa in alto sull'albero di maestra con un binocolo e tanta buona volontà, poteva dare una semplice stima delle distanze e degli angoli, ma poi il colpo veniva sparato più o meno a casaccio per poi andare a "correzione d'errore".
il lavoro era frenetico, ma centinaia di colpi andavano spesi in lunghi "prologhi" prima che "serrando le distanze" non si arrivasse al tiro "teso" a tradimento che concludeva lo scontro per sopraggiunta "demolizione" dell'avversario.
le prime centrali di tiro comparvero e strumenti ottici vennero studiati per calcolare con precisione millimetrica, angoli e distanze.
con i nuovi dispositivi e un buon cannone nuovo di fabbrica, si poteva spedire un "confetto" da 200 kg a 18 chilometri di distanza con un errore di una decina di metri, impressionante.
i cannoni montati su moderni affusti e protetti da moderne torrette corazzate erano in grado di colpire qualsiasi oggetto da uno a venti chilometri con drammatica precisione.
le nuove corazzate da 20.000 tonnellate con le nuove turbine parson, corazzate con 300 millimetri di "cintura", ponte corazzato da 100, torrione di comando da 350mm e torri armate con cannoni da 350mm poteva filare a 22 nodi e grazie ai nuovi cannoni non serviva sparare con un calibro diverso per ogni distanza, bastava "mirare" con lo stesso cannone, gli inglesi fecero lo sforzo e nacque la "monocalibra", la nave "definitiva", la corazzata del futuro, inaffondabile e imbattibile. abbandonata la selva di calibri intermedi aveva quattro moderne torri da 350 mm e istantaneamente tutto quello che navigava diventò obsoleto.
la dreadnought ebbe il suo momento di gloria ma trovò subito due nemici (anzi tre, ma uno era il fumo che dal fumaiolo anteriore avvolgeva la direzione di tiro, infelicemente posizionata alle sue spalle) il siluro e le acciaierie tedesche.
gli inglesi erano molto sicuri del fatto loro e costruirono in breve tempo una vera armata di "monocalibre", appena messe in acqua scoprirono che il mare era infestato di pericolose siluranti (torpediniere) velocissime (37 nodi) ed armate di micidiali siluri, il siluro era in grado di colpire con centinaia di chili di esplosivo lo scafo di una corazzata, sotto la cintura corazzata, era necessario pensare ad una nuova contromisura.
intanto le corazze diventavano sempre più robuste spesse e pesanti, in germania l'acciaio lo conoscevano bene e sapevano che il ferro poteva essere indurito con particolari processi termici, ma le lastre cosi ricavate erano durissime si, ma altrettanto fragili, il colpo non le penetrava, semplicemente le frantumava, un giorno qualcuno alla krupp si dimenticò un lastrone di 300 mm di spessore su un mucchio di carbone incandescente e quando andarono a recuperarlo scoprirono che la superficie esposta al carbone aveva assorbito carbonio e la temperatura aveva trasformato la lastra in un sandwick dove uno strato indurito era inglobato su un materasso di morbido acciaio dolce.
una corazza così "composta" resisteva alla penetrazione di un colpo come una da 300 mm e non solo, mentre la piastra tradizionale, anche se più spessa, non resisteva ad un secondo colpo e si disarticolava cadendo, quella trattata manteneva la forma confinando la deformazione alla zona attorno al punto di contatto.
armando i leggeri incrociatori poi da battaglia con queste nuove corazze e con ottimi cannoni da 250mm, i tedeschi pensarono, a ragione, di poter sfidare le supercorazzate inglesi.
il cannone tedesco aveva un vantaggio, la precisione del tiro conseguenza di una strumentazione e di una organizzazione superiori.
i cannoni tedeschi erano ottimi, ma quelli inglesi non erano da meno e i proiettili inglesi forse erano anche superiori, ma quando si trattava di prendere la mira all'orizzonte o in mezzo al fumo della battaglia, le ottiche zeiss non avevano rivali e la tradizionale, ottima, organizzazione del sistema di tiro dei tedeschi faceva il resto, una rigida gerarchia tra le torri e la centrale di tiro, tradizionalmente le torri godevano di una certa autonomia nella gestione dei bersagli e del tiro, dopo un iniziale "nulla osta" del comandante, nella concitazione della battaglia ogni torre aveva il suo ufficiale a cui era delegato il comando di tutte le operazioni.
con l'aumentare della distanza utile e con l'introduzione della centrale di tiro avvenne una piccola rivoluzione che mise a soqquadro la tradizionale catena di comando, colpire una nave ai limiti della visibilità (16 chilometri) era una operazione scientifica che prevedeva capacità di calcolo e di coordinamento, soprattutto se fatto "in corsa" e con il bersaglio in movimento veloce.
anche solo la "concussione" (il rinculo trasmesso alla nave dai cannoni) creava variazioni sulla precisione del tiro che a quelle distanze si risolvevano in grossi "buchi nell'acqua".
gli inglesi non credevano molto in questi tiri esasperati, preferivano stringere le distanze e massacrare gli avversari da 6-8mila metri dove la concentrazione dei colpi da 381 era micidiale.
i tedeschi coscienti della superiorità delle supercorazzate inglesi, preferivano il combattimento alla distanza per colpire duramente, prima che i cannonieri avversari avessero deciso di aprire il fuoco.
la centrale di tiro, in alto, inquadrava il bersaglio (gli alberi appena sporgenti all'orizzonte), calcolavano angoli e distanze e inviavano le informazioni alle torri che, in rapida sequenza sparavano una salva, quando era ancora in aria, veniva sparata la seconda, un po’ più corta e quando la prima doveva ancora scendere, partiva la terza "a cavallo", intanto la prima "ammarava", si correggevano i calcoli e si ricominciava.
una perfetta organizzazione teutonica sommergeva il nemico, prima che fosse in grado di rendersi conto dell'accaduto.
gli incrociatori da battaglia tedeschi contavano sulla velocità e sulla precisione del tiro, oltre ad una ottima costruzione con l'acciaio krupp cementato.
altra arma subdola e temibile era il siluro, eletta dal sommergibile come inseparabile strumento di distruzione armava anche le veloci siluranti e i cacciatorpediniere.
il siluro colpiva sotto la cintura corazzata, affondando una corazzata al primo colpo, arrivava a oltre 10 chilometri di distanza filando a 50 nodi, spesso bastava lanciarne una manciata contro la squadra nemica per creare il panico e sconvolgere le eleganti linee da combattimento che le corazzate abbandonavano precipitosamente per eseguire atterrite e violente manovre evasive.
la minaccia dei siluri (e quindi dei sommergibili e delle siluranti) arrivò repentinamente in cima alle preoccupazioni degli architetti navali, dopo decenni di sfide all'ultima corazza si cominciò a lavorare sott'acqua per sopravvivere allo scoppio di 800 chili si esplosivo.
il siluro in se era un concentrato di altissima tecnologia appannaggio di vere elite tecnologiche e nel dopoguerra si avviò a rappresentare l'arma totale del combattimento in mare.
riuscire a sopravvivere al colpo di un siluro era una vera impresa, tecnicamente in grado di spezzare in due lo scafo di qualsiasi nave, il siluro non lasciava scampo, non era possibile essere invulnerabili, si poteva solo tentare di sopravvivere.
partendo dal presupposto che la falla era inevitabile, si cominciò a ragionare su uno scafo "compartimentato" che fosse in grado di impedire l'allagamento dei vani interni.
doppi fondi, paratie stagne, e cofferdam prolungati sembravano sufficienti, ma un secondo colpo non lasciava scampo.
 
oltre alle protezioni interne cominciarono a fiorire estese protezioni esterne aggiunte (anche in retrofit) come controcarene all'esterno degli scafi al di sotto delle cinture corazzate, strati successivi di intercapedini sembravano l'unica contromisura.
iniziarono vari studi e la soluzione definitiva venne applicata, quasi contemporaneamente dai giapponesi e dagli italiani.
entrambe le scuole erano arrivate per vie autonome a soluzione simili, ma l'italiano puglisi ebbe una vera intuizione, geniale nella sua semplicità, puglisi aveva pensato che era indispensabile, oltre che proteggere con la compartimentazione, anche dissipare l'energia dell'esplosione, cosa nota, ma che lui affrontò in modo radicale.
i giapponesi inserivano fasci di tubi longitudinali nelle controcarene, il fascio, investito dall'esplosione si deformava raggiungendo un duplice obiettivo, sottrarre energia (consumata nelle deformazioni meccaniche per schiacciamento e deformazione) e mantenere la continuità della struttura
inserendo un lungo tubo nella controcarena, di circa due metri di diametro nella navi più grandi, puglisi creava una camera di deformazione dove l'esplosione poteva trovare sfogo, ma, e qui il genio, riempiendo d'acqua il tubo (circa metà) si creava un vero dissipatore di energia, l'esplosione doveva deformare il tubo e, quindi, spostare la massa d'acqua presente al suo interno che convertiva in energia cinetica enormi quantità di energia esplosiva, la controcarena puglisi era non solo in grado di resistere ad un siluro, ma garantiva protezione anche a colpi ripetuti.
non fu facile per un semplice ufficiale del genio navale trovare credito presso le alte sfere, ma dopo alcune eclatanti prove le sue carene vennero o applicate alle nuove corazzate italiane.
nel 1941 a taranto le controcarene non furono efficaci, i siluri dei biplani inglesi non colpirono nei fianchi ma si infilarono nel fango sotto la nave esplodendo al centro sotto lo scafo sfondando il ventre poco protetto delle corazzate.
ben diversa dimostrazione diede la yamato nel suo viaggio suicida, con moderne controcarene, altrettanto valide di quelle italiane, affondò dopo essere stata colpita da decine di siluri su entrambi i fianchi, il tempo delle corazzate era finito 20 anni prima quando mitchell venne processato per alto tradimento per aver osato affondare una corazzata, preda bellica tedesca, a colpi di bombe.
il siluro meriterebbe una storia a se, concentrato di tecnologia, da sempre può esse considerato un dimostratore delle capacità e competenza tecnologiche della nazione che li costruisce, nato in inghilterra e poi sviluppato costantemente ha subito una tale metamorfosi che oggi è difficile capirne il profilo, spesso più missile che siluro è il prodotto hi-tech per eccellenza.
in passato i migliori siluri erano italiani ed erano l'unico prodotto di esportazione nella ostica germania del tempo di guerra.
fino al 1943 inoltrato gli americani vissero una situazione tragicomica a causa della (misconosciuta) inefficacia degli "acciarini" (inneschi di prossimità e di contatto) delle cariche esplosive dei loro siluri.
gli ottimi sommergibili americani (tra i migliori se non i migliori in assoluto) risultarono talmente inefficaci da rasentare il ridicolo, quando ormai si stava decidendo di smantellare la flotta operante nel pacifico, per "manifesta inutilità" si riuscì a dare ascolto ai frustrati comandanti che insistevano nell'affermare di riuscire a colpire i bersagli ma di non riuscire ad affondarli per mancata esplosione.
una serie di approfondite analisi (avviate quando i nuovi sensibili sonar riuscirono a registrare il "tonfo" sordo del siluro che colpiva la chiglia dello scafo senza conseguenza alcuna) portò a modifiche che resero finalmente letali le armi subacquee, mentre prima tendevano a passare sotto (quota di immersione eccessiva), e comunque a non "sentire" (sensori d'urto e di prossimità) il bersaglio.
con la scomparsa delle corazzate anche il cannone tornò a dimensioni "umane" dopo essere arrivati a 45 centimetri di diametro con gittate nominali massime di 35 chilometri, oggi il 75mm è considerato già "pesante".
la guardia imperiale irachena fu l'ultima ad "assaggiare" i colpi da 450 delle ultime corazzate classe jowa (trasformate in costosissime batterie costiere) e le falkland videro operare le nuove navi da combattimento inglesi.
a parte una certa tendenza ad andare a fuoco facilmente (il magnesio è leggero, ma ha i suoi lati negativi) si è scoperto che un vecchio a-4 armato di bombe di "ferro" metteva ancora paura, ma i nuovi missili antinave erano implacabili e i pochi etendard francesi armati di exocet, in dotazione all'aviazione argentina, fecero sfracelli mettendo in difficoltà la marina inglese priva di difese verso i piccoli e veloci missili.
oggi la marina deve operare dentro un sistema altamente integrato e la guerra delle falkland dimostrò che una task force per quanto potente, può essere messa in difficoltà se isolata.
i nemici mortali di una flotta sono i missili (antinave) e i siluri, contro entrambi è difficile difendersi se non si gioca "d'anticipo", un moderno siluro è terribilmente intelligente ed in grado di inseguire la preda in modo autonomo, mentre un missile, classe harpoon o exocet non lascia scampo.
potenti sistemi di difesa "di punto" completamente automatici, dotati di mitragliere o missili a corto raggio, sono comparsi sui ponti delle navi per difendersi dai missili antinave che volando a pelo d'acqua, scavalcano i tradizionali sistemi di difesa a media e lunga distanza, ma una vera difesa può fornirla solo una portaerei in grado di portare lontano occhi (radar) e orecchie (sonar) in modo da poter mantenere sgombro il cielo e gli abissi da qualsiasi offesa.
intanto sotto i mari si simula una guerra mortale nel più assoluto silenzio, perché il nemico ha un nome, rumore.
 
mentre in superficie gli occhi (onde elettromagnetiche) hanno il primato dei sensi, sott'acqua sono le orecchie a fare la differenza.
due sono le possibilità, ascoltare (sonar) oppure emettere un suono ed aspettarne l'eco (ecoscandaglio, asdic alle origini per gli inglesi).
ascoltare sottacqua é una attività molto redditizia, é possibile percepire il rumore emesso da un battello a decine di miglia di distanza, ogni elica emette un suono caratteristico e l'orecchio allenato (una volta, oggi i database di campionatura) possono dare velocità, distanza, direzione, tipo e intenzioni di qualsiasi unità in superficie ed in immersione.
un sottomarino deve vivere avvolto nel silenzio più assoluto, per sopravvivere deve evitare di emettere e riflettere le onde sonore, lo spesso scafo in acciaio è ricoperto da più di un metro di insonorizzante e l'elica può girare senza emettere alcun suono.
anche i siluri (e le mine) possono seguire le fonti sonore e il silenzio è regola di sopravvivenza, anche l'elettronica è venuta in aiuto con sofisticati sistemi di soppressione artificiale del rumore.
i migliori sottomarini sovietici sono capaci di sprofondare negli abissi (oltre 300 metri) ma era facile inseguirli per il rumore emesso.
i siluri sovietici erano capaci di autonomie insuperabili perché alimentati a idrazina, invece della tradizionale aria compressa o dagli accumulatori elettrici, una autonomia di "corsa" che si paga con la intrinseca pericolosità del combustibile e il kursk ha rivendicato il suo drammatico dazio.
oggi lo "scudo" ha perso la sua battaglia (il giorno dell'affondamento della roma) la "spada" (il missile) quando colpisce non da scampo, l'unica difesa è quella "attiva" basata sulla capacità di eludere, nascondere e confondere gli occhi elettronici del nemico.
dopo un lungo periodo di gestazione costellata da poche conferme e molte delusioni, il magnetismo ebbe il momento di gloria. inizialmente (anni '40) si cercava di creare campi magnetici fittizi per indurre l'esplosione delle mine magnetiche, molti aerei vennero attrezzati con grandi anelli che percorsi dalla corrente generata da un apposito generatore, producevano un campo magnetico paragonabile a quello di una massa ferrosa di una nave, volando a bassa quota sul mare si riusciva ad ingannare le mine subacquee provocandone l'esplosione prematura.magnetic
dopo un periodo di riflessione, nel subito dopoguerra si cercò di misurare la variazione del campo magnetico naturale (terrestre) a causa della presenza di masse ferrose immerse, questi enormi "metal-detector" ebbero una affidabilità non sempre sicura.
la perturbazione magnetica provocata da uno scafo immerso è molto leggera e solo uno strumento molto sensibile può "leggerla".
la stessa massa dell'aereo tende a perturbare il campo magnetico terrestre, ecco che i "mad" (magnetic anomaly detector) vengono installati su lunghe aste telescopiche per allontanarli dal corpo dell'aereo. quando il mad segnala una massa magnetica "sospetta" una serie di "sonoboe" viene lanciata in acqua per delimitare un campo di "ascolto", ogni rumore viene catturato ed identificato, se l'aggancio viene confermato vengono lanciati i siluri che intelligenti ed "informati" delle caratteristiche dell'intruso, gli si mettono "alle calcagna" mettendo fine alla sua corsa.
questa guerra del gatto con il topo è mortale, in caso di reale confronto bellico non ha nulla di epico o di glorioso, l'intruso non ha nessuna possibilità di scampo se non l'elusione o il mimetismo, sperando di essere confuso con qualche relitto immerso, con un branco di balene o con qualche traccia "civile" in zona, l'abilità dei comandanti sta nell'arte del sotterfugio e della dissimulazione, anche se la dimensione enorme del mare va a suo vantaggio.
una squadra navale in marcia in assetto da combattimento è costantemente preceduta e contornata da "spie" che o da base a terra (grandi aerei pattugliatori) o decollati dalle portaerei e/o portaelicotteri scandagliano il fondo del mare alla ricerca degli "intrusi".
non esiste possibilità di sopravvivenza di una nave isolata senza copertura aerea.
con la comparsa del sommergibile cominciò un lento declino delle unità di superficie che si arrestò solo quando la nave si alleò con l'aereo e la portaerei diventò la "capital ship" al posto della corazzata.
 
..bhè, che dire..?
ancora bentornato "presidente"!:finger:

exatem complimenti, hai un più che degno "alleato".

saluti
marco:smile:
 
..bhè, che dire..?
ancora bentornato "presidente"!:finger:

exatem complimenti, hai un più che degno "alleato".

saluti
marco:smile:

ciao sam...
bella storia... "er presidente" ha sbagliato mestiere...
lo avevo detto all'inizio. se aerei e navi si uniscono... sono volatili per diabetici!
 
sopra e sotto le onde
premessa alla seconda guerra mondiale

come tutti sappiamo la seconda guerra mondiale ebbe inizio il primo settembre 1939 con l’invasione della polonia da parte delle truppe tedesche e dopo due giorni, con l’ingresso in guerra della francia e della gran bretagna. l’italia si mantenne neutrale per i primi nove mesi ma il 10 giugno 1940 scese in campo a fianco della germania. la rapida uscita dal conflitto della francia, trasformò lo scontro in una contrapposta difesa del traffico nelle direttrici nord-sud (per l'italia) e est-ovest per la gran bretagna, forte delle basi di alessandria d'egitto e malta (mediterranean fleet) e gibilterra (force h). in questa data le forze italiane sono la quinta marina al mondo, dispongono delle corazzate “conte di cavour” e “giulio cesare”, vecchie navi ma appena rimodernate, 7 incrociatori pesanti, 12 incrociatori leggeri, circa 100 tra cacciatorpediniere e torpediniere oltre a 100 sommergibili. le nuove corazzate “vittorio veneto, “caio duilio” e “andrea doria” sono ancora in fase di allestimento/addestramento. il 9 aprile 1940 il conflitto si estese alla danimarca e alla norvegia, il 10 maggio toccò a olanda, belgio e lussemburgo. a fine agosto venne coinvolta la romania, il 28 ottobre la grecia. l’anno successivo tocca alla bulgaria il’1 aprile 1941, l’ungheria il 2, la jugoslavia il 6 poi il 22 giugno russia e finlandia (che però se le stavano già dando dal ’39). pearl harbour annuncia l’entrata in guerra di stati uniti e giappone il 7 dicembre 1942.
un marasma di bandiere, una confusione, una infinità di avvenimenti, di protagonisti, di tragedie che non saranno oggetto di questa storia. vedremo solo alcuni episodi particolarmente significativi i cui protagonisti sono marinai di ogni nazionalità dedicando una descrizione più accurata ai fatti e ai mezzi italiani.

una considerazione.

nei sei anni della seconda guerra mondiale, lo scontro navale si evolverà più di quanto avvenuto nel corso di tutta la storia. nei capitoli precedenti abbiamo visto come la guerra in mare si svolgesse quasi esclusivamente in superficie. il combattimento avveniva a vista, a distanze limitate, inizialmente corpo a corpo, in seguito dipendente dalla gittata delle armi che comunque fino al xix si completava con l’abbordaggio. ora la guerra si combatte sia sulla superficie del mare, sia sopra che sotto di esso.

sia “sopra che sotto le onde” appunto.
la portata e la potenza delle armi cresce continuamente, il radar permette di puntare nemici non ancora visibili, con l’asdic si localizzano e si attaccano sommergibili che cercano di sottrarsi cercando riparo nella profondità massima raggiungibile. avendo parlato dell’avvento della portaerei vedremo ora come grazie all’aviazione, intere squadre navali si combattono senza mai vedersi come ad esempio nella battaglia del mar dei coralli. verranno affondate sei navi tra cui le portaerei “lexington” e “shoho” senza che i due comandanti riescano a vedersi. ben diverso da pochi anni prima quando allo jutland si scrutava l’orizzonte in cerca di tracce di fumo che rilevassero la presenza di navi nemiche.
nonostante questa evoluzione dei mezzi, i marinai continuano ad assolvere sempre i loro compiti. come nelson all’inseguimento di villeneuve, hanno lavorato, mangiato, dormito insomma vissuto, lottando contro tempeste e difficoltà della natura anche se siedono davanti ad uno schermo di computer piuttosto che salire a riva a dare una mano di terzaroli alle gabbie.
 
sopra e sotto le onde
conte di cavour… la progenitrice di una specie.

per chi la vide la prima volta in mare, quella grande nave sembrava “un brutto anatroccolo”. aveva qualcosa di “sgraziato”, di architettonicamente inconsueto. per dirla come va detta, era decisamente brutta. uno scafo privo di sovrastrutture, con 4 fumaioli disposti a coppie così lontane fra loro, 5 torri con cannoni da 305 mm. sembrava costruita in fretta e furia, con i “pezzi” messi così, a casaccio. anche il nome non era indovinato, “dante alighieri”, sembrava piuttosto una scuola media…
eppure era evidente che rappresentava qualcosa di nuovo, di rivoluzionario. la messa in pratica dell’idea di un ufficiale del genio, vittorio cuniberti, il papà della monocalibro che abbiamo visto precedentemente. le navi in costruzione sugli scali cominciavano a dare una idea di quelle che sarebbero state le linee di carena delle costruzioni future. il ministero della marina incaricò il tenente generale del genio, giuseppe valsecchi, di effettuare uno studio che migliorasse le qualità senza modificarne le caratteristiche fondamentali. data la bontà del progetto iniziale firmato dal generale masdea, e considerato che le caratteristiche della classe cavour rispondevano pienamente alle esigenze della marina, valsecchi si limitò ad apportare ai disegni quelle modifiche dettate dall’esperienza e dall’esempio di alcune costruzioni straniere. da questi studi, nasceranno le corazzate classe “caio duilio” il cui progetto vrrà portato a termine in meno di sei mesi.
ma torniamo a vedere la classe cavour.
lo scafo, in acciaio ad elevata resistenza, era munito di triplo fondo. i ponti continui da poppa a prora erano tre, ponte corazzato, ponte di batteria e ponte di coperta. esisteva una cintura di protezione completa da prora a poppa che si estendeva dalla intersezione del ponte di protezione con la murata (circa 1,8 m sotto il galleggiamento) fino al ponte di batteria. nella zona centrale lo spessore raggiungeva i 250mm per poi rastremarsi a poppa fino a 120mm e a prora 100. sopra questa cintura, ne correva un’altra detta di corridoio da 220 rastremata ad 80mm. un terzo corso fra batteria e coperta andava dalla paratia trasversale poppiera fino all’estrema prora con uno spessore da 150 a 80mm. la protezione orizzontale era formata da un ponte corazzato per tutta la lunghezza della nave. orizzontale al centro, aveva le superfici inclinate verso le murate e verso le due estremità ed era costituito da due strati di lamiere che variavano da 24 a 40mm. anche il ponte di batteria contribuiva alla protezione orizzontale con i suoi 30mm di acciaio. la tuga prodiera era corazzata con lamiere da 150, 130 e 120mm. la torre di comando poppiera, 160mm. le corazze della cintura a murata, della tuga e, delle traverse, erano applicate interponendo un cuscino di legno. il peso totale della corazzatura, legno e chiavarde comprese, superava le 5.000 ton.
era il 1913 e gli inglesi avevano afferrato subito la bontà del progetto tanto che su uno scalo di un cantiere prendeva forma “l’hms dreadnought” che già conosciamo.
la nostra “scuola media” era una versione ancora migliorata, la corazzatura verticale arrivava a 250mm, quella orizzontale a 100, le torri dei cannoni erano protette da 280mm di acciaio, le barbette 305, il torrione di comando 260. la protezione subacquea era affidata ai “cilindri assorbitori modello pugliesi”. descrivendoli semplicemente, si trattava di lunghi cilindri deformabili sistemati a murata il cui scopo era di assorbire l’onda d’urto causata da un siluro o da una mina. l’ordigno esplodendo contro il cilindro, disperdeva la sua energia all’interno dello stesso.
furono realizzate 5 di queste navi di cui una era appunto la “conte di cavour”, nave da battaglia di prima classe. entrata in servizio il primo aprile 1915, aveva un dislocamento superiore a 25.000 ton., l’apparato motore era costituito da 20 caldaie tipo yarrow di cui 8 a nafta e 12 ad alimentazione mista nafta/carbone. le caldaie alimentavano 3 gruppi di turbine parson che azionavano 4 eliche. ogni gruppo era costituito da una turbina ad alta pressione e da una a bassa per la marcia avanti, nei gruppi laterali le turbine di alta e bassa pressione erano sistemate su un unico asse mentre il gruppo centrale era su due assi. i gruppi laterali avevano una turbina di marcia indietro. la potenza era di 31.000 hp e consentiva di raggiungere i 21 nodi. l’armamento era costituito da 13 pezzi da 305/46mm suddivisi in cinque torri di cui 3 trinate e 2 binate, 18 cannoni da 120/50,22 da 75/50. l’armamento silurante era costituito da 3 tubi lanciasiluri da 450mm ciascuno con tre siluri.
passata indenne attraverso la prima guerra mondiale, negli anni 20 effettuò campagne “dimostrative” all’estero. in questo periodo venne sostituito l’albero tripode con uno quadripode che permise di installare una centrale telemetrica più in alto. il 12 maggio 1928 la nave venne posta in disarmo a taranto in attesa della demolizione. ma nel 1933 viene deciso il suo riammodernamento. la nave viene trasferita presso il cantiere navale san marco di trieste e i lavori durarono dall’ottobre del 33 al maggio del 37 al termine dei quali venne restituita un unità praticamente nuova. ne sortì una nave complessivamente buona nonostante la scarsa difesa antiaerea e antisommergibili. le profonde modifiche interessarono il 60% delle strutture, il profilo venne totalmente trasformato e lo scafo venne allungato di 10,3m costruendo una nuova prora su quella esistente. vennero realizzati nuovi ponti corazzati e i fumaioli divennero due, più bassi e ravvicinati. il torrione totalmente ricostruito aveva alla sommità della plancia i telemetri e la direzione di tiro dei cannoni principali. venne eliminata la torre a centro nave ottenendo un totale di dieci cannoni suddivisi in due torri trinate e due binate. fu sbarcato tutto l’armamento secondario e venne sostituito da 12 cannoni da 120/50 in 6 torrette binate disposte sui due lati. l’armamento antiaereo era costituito da 8 cannoni da 100/47 in torri singole, 16 da 37/54 e 12 da 20/65mm. vennero rimossi i tubi lanciasiluri. i motori furono sostituiti con nuove unità da 93.000hp per una velocità di 28 nodi. la nuova cavour riprese servizio il primo giugno 1937 e si dislocò a taranto inquadrata nella i^ squadra navale con il ruolo di nave ammiraglia. il 9 luglio 1940, al comando del cv ernesto ciurlo, si verificò il primo scontro navale tra italiani e inglesi con la battaglia di punta stilo. nella notte tra l’11 e il 12 novembre 1940, la cavour venne colpita durante la “notte di taranto”. un siluro lanciato da un aerosilurante “swordfish” decollato dalla portaerei inglese “illustrious” la danneggiò gravemente facendola semiaffondare. nonostante fosse stata colpita da un solo siluro nell’opera viva, la non eccezionale robustezza strutturale causò uno squarcio di 12x8m. nella murata sinistra vicino ad un deposito munizioni di prora. la nave imbarcò molta acqua causando l’allagamento di tutta la prua. per evitarne l’affondamento, venne spostata su fondali più bassi sui quali si appoggiò. l’esplosione aveva causato anche la morte di 17 marinai.
l’attacco inglese aveva messo in mostra la scarsa compartimentazione della nave e ilsuo insufficiente apparato antiaereo. dopo aver sbarcato i grandi pesi costituiti dall’armamento e del torrione, la cavour venne rimessa a galla e trasferita al bacino di trieste. i lavori riguardarono oltre la riparazione dello scafo, un ammodernamento in particolare dell’armamento antiaereo. dodici cannoni da 135/45 in 6 impianti binati, 12 singoli da 65/64, 23 mitragliere da 20/65, una nuova direzione di tiro e un radar. ma i lavori procedevano lentamente a causa delle crescenti difficoltà dovute alla guerra tanto che, l’8 settembre 1943 la nave non era ancora in grado di prendere il mare. il 10 l’equipaggio venne fatto sbarcare e i tedeschi si impadronirono dell’unità.
durante un bombardamento gli anglo-americani il 20/2/45 colpirono con 2 bombe la nave. le esplosioni aprirono le connessioni tra alcune lamiere della carena causando l’allagamento. la nave si abbassò fino a che gli oblò, colpevolmente lasciati aperti, causarono ulteriore ingresso di acqua. lo scafo si capovolse e le sovrastrutture sprofondarono nel fango. quel tratto di mare alla fine della guerra era disseminato di relitti tra cui il transatlantico “sabaudia”, la “giulio cesare”, la corvetta “berenice” e la carena immensa del mitico “rex”.

(segue...)
allego un disegno che ho fatto per far vedere come si aggiunge una prora a quella esistente.
 

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conte di cavour… la progenitrice di una specie

(2^ parte)

il cavour venne ufficialmente radiato il 27/2/1947. le difficoltà politiche riguardo il territorio di trieste rallentarono i lavori per la demolizione del relitto. messo all’asta, venne vinto da armando vasi di la spezia. certo che rimettere a galla lo scafo rappresentava un impresa eccezionale per la quale occorrevano uomini eccezionali tra cui donato sodini che accettò la sfida. con la sua goletta “nazario sauro” e 20 suoi fidati uomini giunse a trieste. l’8 dicembre 1950 iniziarono i lavori di recupero. innanzi tutto occorreva valutare se era il caso di raddrizzare la nave o renderla galleggiante nello stato in cui si trovava. il basso fondale rendeva quasi impossibile la manovra di ribaltamento. il primo passo fu pertanto quello di chiudere tutti gli oblò, portelli, boccaporti e falle. per dare stabilità al relitto ed aiutarlo a risalire, vennero affiancati ad esso 8 cilindri di spinta da 140 ton ciascuno. sulla carena vennero saldati gli attacchi per le manichette dell’aria compressa e si cominciò a introdurre aria. ci si rese conto però che se anche si fosse riusciti a ristabilire la galleggiabilità dello scafo, le sovrastrutture sarebbero sempre rimaste incastrate nel fondo che misurava tra i 12 e i 14m. si decise pertanto di procedere al taglio lasciandole sul posto per poi recuperarle in seguito. in corrispondenza delle torri dei cannoni, si trovavano 4 pozzi verticali dal diametro di 14m che dal fondo dello scafo, arrivavano fino al ponte di coperta. vennero resi stagni chiudendo ogni apertura, anche la più piccola per aumentare la spinta di galleggiamento. ma le torri protette da 300mm di corazza, pesavano circa 7/800 ton. con un lavoro molto pericoloso, vennero tagliate così alla fine lo scafo era stato alleggerito di circa 3000 ton e cominciò a liberarsi dal fondale. mentre il livello dell’acqua si abbassava, vennero sigillati 4 “cassoni” stagni di cui 2 lungo le murate e uno ciascuno a poppa e prora. fu un lavoro massacrante, la temperatura era così alta che si dovevano raffreddare le lamiere con getti di acqua. quando la spinta fu sufficiente, i palombari cominciarono il taglio delle rimanenti sovrastrutture. alla fine la cavour emerse di 9 metri. era il 29 marzo 1952.
il relitto venne rimorchiato e messo a disposizione delle ditte di demolizione. rimasero sul fondo semisommersi dal fango, i cannoni che avevano tuonato a punta stilo. in 5 mesi di guerra aveva percorso 5583 miglia per 297 ore di moto.
attualmente il nome cavour appare a poppa dell’ultima nata della marina militare. la portaerei costruita alla fincantieri tra i cantieri di riva trigoso e la spezia consegnata il 27/marzo 2008 e che sta per entrare in servizio.
ma questa è un’altra storia…
 

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sopra e sotto le onde
la seconda guerra mondiale

3 settembre 1939. da mezzogiorno la germania è in guerra contro la gran bretagna e dalle 17 dello stesso giorno, anche con la francia.
a 200 miglia ad ovest delle isole ebridi l’oberleutnant zur see lemp, al comando del u30, sta osservando la superficie del mare. sono già 15 giorni che ha lasciato la base di wilhelmshaven insieme ad altri 20 sommergibili per portarsi nei territori di caccia in previsione dell’inizio delle ostilità.
nel frattempo “l’athenia”, transatlantico della cunard white star line, salpato da liverpool direzione montreal con 1100 passeggeri di cui 300 americani, sta attraversando proprio quelle acque. il suo siluramento, oltre alle reazioni di sdegno in tutto il mondo, segnò l’inizio della battaglia dell’atlantico. a quella data la situazione della marina tedesca era ben diversa dai tempi dello jutland. con pochi mezzi a disposizione era impossibile pensare di affrontare in battaglia la flotta inglese. anche la guerra di corsa non era praticabile, le basi coloniali indispensabili per offrire appoggio e riparo erano state tolte alla germania con il trattato di versailles. quindi le forze disponibili erano assai limitate.
ma come nella grande guerra, anche questa volta sarà l’admiral graf spee ad aprire le ostilità, non nella persona del famoso ammiraglio, ma con una nuova nave da battaglia che porta il suo nome.
su precisa richiesta dell’inghilterra, in deroga al trattato di washington, il dislocamento massimo delle navi da guerra tedesche era stato innalzato a 10.000 ton. equivalente agli incrociatori pesanti costruiti dalle altre marine del mondo. con la classica precisione teutonica quella clausola venne “scrupolosamente” osservata. infatti la “deutschland”, prima della classe, dislocava 10.000 ton. ma, mentre tutte le navi avversarie di quelle dimensioni erano equipaggiate al massimo con pezzi da 203mm, lei sfoggiava 6 pezzi da 280mm. inoltre era corazzata mentre ne i “suffren” francesi ne i “london” inglesi lo erano e la sua autonomia superava tutte le altre.
il genio navale tedesco aveva rivoluzionato l’arte delle costruzioni. scafo saldato anziché chiodato per risparmiare peso. motori diesel da 54.000 hp per un velocità di 26 nodi. due torri trinate da 280mm. seguirono la “admiral scheer” e la “admiral graf spee”. le terribili “corazzate tascabili” causarono una epidemia di febbre presso gli uffici studi degli ammiragliati quando nel 36 la “graf spee” partecipò alla parata per l’incoronazione di re giorgio vi.
l’impressione fu così grande che l’inghilterra, senza interpellare gli alleati e nella speranza di limitare i danni, sciolse la germania dai vincoli del trattato di versailles. i tedeschi ne approfittarono per scatenare un formidabile programma di costruzioni.
volenti o nolenti, le altre nazioni dovettero aprire i cantieri e inseguire la germania. la francia costruì due navi da 26.000 ton. la “dunkerque” e la “strasbourg”. l’inghilterra aveva in linea già da 20 anni tre navi da battaglia: “hood”, “repulse” e “renown”.
nonostante l’ammiraglio reader avesse avvisato il fuhrer che la marina tedesca non sarebbe stata pronta prima del 44/45, hitler non se ne preoccupò dato che aveva una visione della guerra esclusivamente continentale. quindi il 3 settembre 1939 la germania iniziò la guerra senza che le sue navi fossero pronte. le sue forze consistevano nelle tre corazzate tascabili e nei due “scharnorst” da 26.000 ton. che stavano ultimando le prove in mare. in queste condizioni reader assicurò al fuhrer che “la marina avrebbe saputo soccombere in attesa di resurrezioni future”.
 
sopra e sotto le onde
branchi di lupi e cani pastore

per combattere una guerra sono necessari viveri, materie prime, prodotti industriali. l’uomo ha sempre fatto la guerra per impossessarsi delle risorse altrui e anche la seconda guerra mondiale non ha infranto questa regola. la germania di hitler però non poteva invocare particolari esigenze economiche quale giustificazione alla sua aggressività. nel 1939 la germania era quasi completamente autosufficiente per ciò che riguarda il sostentamento della popolazione. le importazioni in campo alimentare erano limitate a poche voci. produceva tutto il carbone di cui necessitava e buona parte del ferro. per le altre materie prime per cui doveva ricorrere alla importazione, (gomma, metalli non ferrosi,ecc.) l’elevato livello di esportazione di prodotti chimici e di macchinari, compensavano ampiamente le carenze.
l’italia invece era quasi totalmente dipendente dalle importazioni di materie prime mentre la sua industria si basava si di una tradizione artigiana di precisione non idonea alla grande produzione di massa necessaria per lo sforzo bellico.
gli inglesi erano in grado di produrre armi, navi, aerei in enormi quantità tanto da equipaggiare anche le forze alleate ma dovevano importare tutto il petrolio, i metalli non ferrosi e, almeno la metà degli alimenti.
ecco perché la cosa che maggiormente spaventava churchill erano gli u-boot. nel 39 la gran bretagna doveva importare 55.000.000 di ton di merci varie. aveva a disposizione per questo, la flotta mercantile più grande al mondo composta da oltre 21.000.000 di ton di stazza. per proteggere queste navi, la royal navy aveva a disposizione circa 220 navi.
nel settembre del 39 l'ammiraglio donitz disponeva di 57 sommergibili di cui 30 costieri e 27 oceanici, (nel luglio del 42 i sommergibili saranno 300 di cui 140 permanentemente in servizio). inizialmente gli u-boot erano costretti a rimanere vicino alle basi del baltico ma nonostante questo affondarono la corazzata “royal oak” all’interno della base di scapa flow e le portaerei “courageous” e “glorious” . l’occupazione dei porti francesi sull’atlantico di brest, saint nazaire, la rochelle, e lorient, avvenuta nel giugno del ’40, aumentò considerevolmente il ritmo degli affondamenti anche perché donitz, che era stato comandante di smg nella grande guerra, aveva compreso che un sommergibile in immersione, essendo più lento di un mercantile, si sarebbe sempre trovato in una condizione di svantaggio. dimostrò quindi che i “branchi” di sommergibili, disposti a catena in superficie, riuscivano ad individuare i convogli e a concentrarsi su di essi infliggendo un numero considerevole di perdite.
era la famosa tattica dei “branchi di lupi”.
per difendersi i convogli avevano a disposizione pochi “cani da pastore”, due o tre caccia che dovevano proteggere 40 mercantili per oltre 3.000 miglia potendo contare sull’asdic, che però aveva una portata limitata a 900m e non indicava la profondità del nemico e, sulle cariche di profondità che riuscivano a sfondare lo scafo di un sommergibile solo esplodendogli vicino. quindi la miglior difesa rimaneva evitare le zone che si ritenevano infestate da lupi e intensificare la sorveglianza aerea in modo da costringere gli u-boot ad immergersi. ma fino al 43 il limitato raggio di azione degli aerei lasciava un vuoto che andava dal nord america all’islanda alla gran bretagna. in questo “buco nero” operavano impunemente i branchi di lupi fino a che non entrò in servizio il b24 liberator. nel 41 i sommergibili nuovi erano oltre 200 compensando abbondantemente i 50 persi dall’inizio del conflitto con un ritmo di affondamenti che stava portando l’inghilterra al livello minimo di sostentamento. ma dal maggio del 42 gli americani cominciarono a produrre navi ad un ritmo impressionante. in particolare, la petroliera t10 da 14.000 ton. e il mercantile liberty da 10.000 ton., potevano essere realizzati in soli tre mesi. nell’ottobre del 42 si costruivano tre liberty al giorno. addirittura in novembre il “robert e. peary” venne impostato e varato in 4 giorni e 15 ore.
la svolta decisiva si ebbe nel marzo del 42. gli inglesi distrussero il bacino galleggiante di saint-nazaire che rappresentava il punto di appoggio in atlantico per la “tirpiz”. questa potente e moderna corazzata, dovette rifugiarsi in norvegia dove venne raggiunta dallo “scharnhorst” e dallo “gneisenau”. nel dicembre del 43 verrà affondata la scharnhorst, la tirpiz finirà i suoi giorni nel suo ancoraggio norvegese a seguito di un bombardamento alleato.
donitz cercò di aumentare l’autonomia dei sommergibili attraverso esperimenti di rifornimento in mare ma gli aerei del comando costiero vennero attrezzati con i “fari leigh” grazie ai quali, riuscivano a sorprendere gli u-boot in emersione. fu soltanto con l’entrata in servizio di sommergibili muniti di snorkel all’inizio del 44 che la minaccia degli aerei antisom diminuì. dal luglio del 42 donitz potè contare su 300 battelli e quindi concentrò gli sforzi in atlantico centrale. gli inglesi reagirono con due esperimenti che diedero i loto frutti: la costituzione di un gruppo di appoggio formato da unità di scorta il cui compito era accorrere in aiuto ad un convoglio sotto attacco; e la cosiddetta m.a.c. merchant aircraft carrier, ossia dei mercantili dotati di catapulta per il lancio di un aereo “a perdere” il cui pilota si sarebbe poi lanciato con il paracadute per essere recuperato in seguito. era un metodo poco efficace ma era un palliativo in attesa dell’entrata in servizio delle portaerei di scorta. la prima fu la “bougue” americana, entrò in linea il mese successivo mentre il gruppo di appoggio venne sciolto. tra il novembre 42 e il marzo 43, i tedeschi affondarono 1.300.000 ton di convogli. la tattica dei branchi sembrava avere la meglio sulla protezione dei convogli ma si trattò di un illusione. non solo le nuove costruzioni pareggiarono il conto delle navi perse dal 39 ad oggi, ma gli u-boot affondati eguagliarono il ritmo con cui venivano varati quelli nuovi.
gli inglesi ricostituirono i gruppi di appoggio, questa volta cinque, e vi aggiunsero due portaerei di scorta con 20 aerei antisom. radar e asdic più precisi e nuovi lanciatori di bombe di profondità come hedgdog e squid. nel maggio del 43 i sommergibili persi furono 43, più del doppio dei nuovi costruiti.
il 24 maggio donitz annunciò: << abbiamo perso la battaglia dell’atlantico>>.
non era la fine della guerra sottomarina, nel maggio del 44 il primo sommergibile munito di snorkel effettuò la prove in mare. si trattava di un tubo con due condotte, una di aspirazione e una di scarico, che consentivano al sommergibile di navigare immerso utilizzando i motori diesel. era stato ideato da un ufficiale olandese nel 1927 e anticipava gli impianti a perossido di idrogeno a circuito chiuso che i tedeschi realizzarono nel 1945.
la battaglia dell’atlantico era costata agli alleati 2452 navi mercantili per un valore di quali 13.000.000 di ton e 175 navi da guerra.
i tedeschi persero 696 degli 830 sommergibili inviati in azione, 25.870 morti su 40.900 uomini, altri 5.000 vennero fatti prigionieri. queste perdite rappresentano il 75% dell’arma subacquea e sono la più gravi sostenute da qualsiasi altra forza armata. i suoi assi, gunther prien, otto kretschwer, manfred kinzel, joachim schepke, riuscirono addirittura, nonostante le perdite inflitte agli alleati, a meritarsi il rispetto degli avversari.
i 30.000 uomini della marina mercantile morti nelle acque gelide dell’atlantico sono stati anch’essi combattenti. non indossarono una divisa, non hanno monumenti che li ricordano ma, contribuirono affinchè alla germania nazista fosse impedito di dominare il mondo.
 
sopra e sotto le onde
corsari

l’admiral graf spee, agli ordini del kapitan zur see langsdorf, lasciò wilhelmshaven il 21 agosto 1939 carico di munizioni, combustibile e viveri, per “destinazione ignota”.
il 23 l’”altmar”, nave appoggio tedesca, salpò da port arthur negli stati uniti con le stive stracolme di materiale. le due navi si incontrarono in atlantico meridionale, territorio di caccia assegnatoli.
la “deutschland” partì il 25 agosto con destinazione nord atlantico e si incontrò ad est della groenlandia con la nave appoggio “westerwald”. per il primo mese di guerra non si sentì parlare delle due navi. ma i primi di ottobre circa 30 superstiti del piroscafo inglese “clement”, arrivati sulle coste brasiliane, dichiararono di essere stati attaccati da una corazzata tascabile tedesca.
scattò l’allarme generale.
gli ordini di berlino dicevano che le navi non dovevano intraprendere alcuna azione offensiva contro la francia. hitler era infatti convinto che la francia non avrebbe soccorso la polonia. l’atteggiamento incerto del governo di parigi incoraggiò questa idea e il dittatore si convinse che una volta ottenuta l’annessione della polonia la francia e l’inghilterra si sarebbero sedute al tavolo della pace. le due navi si erano comunque preoccupate di non farsi troppo notare. la deutschland aveva fatto un lungo giro a nord dell’islanda per andarsi a nascondere a sud della groenlandia. la graf spee aveva seguito la rotta tra islanda e isole faroer per andare a nell’atlantico occidentale e in seguito raggiungere la posizione sotto l’equatore.
stando agli ordini impartiti da berlino, se anche un sommergibile avesse incrociato la dunkerque o la strasbourg, non avrebbe dovuto assolutamente attaccarle. ma questa situazione non poteva durare. il 23 settembre reader si presentò dal fuhrer e riuscì ad ottenere il permesso voluto. la ricerca della pace non aveva avuto successo.
il 26 le navi tedesche vennero autorizzate a lasciare i loro nascondigli. quattro giorni dopo a 60 miglia al largo di pernambuco, la speer fece la sua prima vittima, una vecchia carretta inglese da 5.000 ton. era il clement. l’aereo imbarcato sulla nave si alzò in volo e costrinse la nave a fermare le macchine e l’equipaggio venne fatto sbarcare. il comandante della spee, langsdorff, fece lanciare due siluri che mancarono il bersaglio, allora fece fuoco con i cannoni e affondò il vecchio mercantile. poi telegrafò alla stazione di pernambuco per permettere il recupero dei naufraghi. la spee fece rotta ad est a caccia di altre vittime. il 5 ottobre viene avvistata la “newton beach” da 4.000 ton. l’equipaggio viene “invitato” a seguire la corsara ma dopo due giorni, raccolto anche l’equipaggio della “ashlea” da 4.200 ton., resosi conto che quel ferrovecchio è più di impaccio che altro, viene affondata. dopo essersi incontrata con l’altmark per rifornirsi, il 16 “alleggerisce” del prezioso carico lo “huntsman” da 2.000 ton. a quel punto tutti gli equipaggi delle navi catturate vengono trasferiti sull’altmark. il 22 ottobre si verifica un evento che segnerà la sorte della graf spee. il “trevanion” da 6.000 ton. ha fatto difficoltà a fermare le macchine ma soprattutto, ha segnalato per radio l’attacco.
la graf spee scompare per tre settimane.
ma dopo la cattura del clement, scompaiono il cargo “stonegate” ad est delle bermuda, poi tocca al “city of flint” a sud di terranova, il giorno successivo è stato il giorno dello huntsman.
e’ evidente che si tratta di due corsari.
a nord la deutschland, a sud l’admiral graf spee. gli inglesi scatenarono una caccia alle due navi distribuendo ai quattro angoli dell’oceano dei gruppi di ricerca che assorbiranno gran parte delle forze alleate. a freetown vennero mandate la corazzata “renown” e la portaerei “ark royal”. a dakar la corazzata francese “strasbourg” e tre incrociatori da 10.000 ton. a città del capo due incrociatori. alle falkland gli incrociatori “cumberland”, “exeter”, “ajax” e “achilles”. gli aerei da ricognizione a lungo raggio erano ancora rari ma l’ammiragliato francese ebbe una idea geniale, utilizzare un aereo di linea che l’air france stava ancora collaudando. si trattava di un “camille flammarion”, un quadrimotore farman 2234.
utilizzando un equipaggio civile per non contravvenire alle regole sulla neutralità, ma imbarcando quale “ingegnere” il capitano di corvetta daillère, il flammarion attraversò i cieli alla ricerca dei “corsari”. e’ impressionante pensare che per dare la caccia a due navi da 10.000 ton, vennero impiegate 270.000 ton di navi alleate senza considerare il naviglio minore. l’atlantico venne setacciato in lungo e in largo senza trovare niente ma il 15 novembre arrivò la notizia di una nuova vittima in oceano indiano. era la petroliera “africa shell” e da quel momento la rotta verso l’australia non era più sicura. due incrociatori, il “kent” e il “suffren” vennero inviati a protezione. nel frattempo la “deutschland” era ritornata indenne a kiel a seguito di una caccia non molto fruttuosa dato che aveva catturato solo due mercantili per circa 8.000 ton.
il 21 novembre la "scharnhorst” lo “gneisenau” partono da wilhemshaven per una operazione diversiva in nord atlantico e il 23 sorprendono l’incrociatore britannico “rawalpindi”, lo fanno fuori senza difficoltà dopodichè si vanno a nascondere in nord atlantico.
la loro comparsa causò il panico. da brest a scapa flow, da halifax a loch ewe, sei corazzate, due portaerei, dodici incrociatori e decine di caccia andarono in caccia. le due tedesche se ne fecero beffe e il 27 tornarono ai loro ancoraggi.
la graf spee non ebbe altrettanto fortuna. il 2 dicembre catturò il cargo “doric star” e questo incontro le sarà fatale. il giorno dopo toccò al “tairoa” da 8.000 ton, poi il 7, a circa 900 miglia da rio de janeiro, lo “streonshaln” da 6.000 ton, la sua ultima vittima.
abbiamo detto che il doric star fu fatale alla graf spee. infatti prima di essere affondata era riuscita a trasmettere la sua posizione cosa che fece anche il tairoa. riportando i punti su una carta e unendoli con una linea, non fu difficile tracciare la rotta del corsaro.
puntava verso rio de la plata...
(fine prima parte...)
 
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corsari

(2^ parte)

il commodoro harwood si trovava con la sua divisione a circa 3.000 miglia dalla graf spee. calcolando una velocità di crociera di 15 nodi la nave tedesca sarebbe arrivata a destinazione a metà pomeriggio del 12 dicembre. harwood diede ordini in tal senso. il 13 dicembre, erano da poco passate le 6, quando la graf spee arrivò all’estuario del rio de la plata . all’appuntamento c’erano ad aspettarla l’”exeter”, l’”ajax” e, l’”achilles”. la prima ad aprire il fuoco è la nave tedesca, anche se uno contro tre, la partita era tutta da giocare. la graf spee vantava sei pezzi da 280mm, le avversario 6 da 203 dell’exeter mentre le altre non andavano oltre i 152. a longsdorff sarebbe bastato mantenersi fuori tiro ed ingaggiare un avversario alla volta. gli inglesi manovrarono per circondare il nemico mettendo i tedeschi in condizione di dover scegliere tra tre obiettivi e questo causò all’inizio qualche incertezza. poi gli artiglieri si concentrarono sull’exeter che dopo 8 minuti ebbe la plancia distrutta e tutte e tre le torri fuori combattimento. i due incrociatori leggeri nel frattempo si fecero sotto martellando la nave tedesca la quale voltò i cannoni sull’ajax. alle 7,25 la nave inglese ricevette un colpo che gli distrusse due torri. la distanza scese a 10.000m quando l’ajax lanciò i suoi siluri ma la graf spee manovrò evitandoli. quando la distanza scese a 7.000m harwood decise di interrompere il combattimento. la graf spee si diresse verso il rio de la plata seguita a distanza dai due incrociatori inglesi. l’exeter invece si diresse verso le falkland per le necessarie riparazioni.
il giorno 14, alle 12,50 la graf spee diede ancora a montevideo mentre gli inglesi si appostarono in attesa. nel frattempo i rinforzi stavano dirigendosi verso la zona dello scontro. il primo fu il “cumberland”. l’”ark royal”, la “renown” e tre incrociatori, si lanciarono a tutta forza per colmare i cinque giorni di navigazione che li separavano dalla nave corsara tedesca. ma la sorte della graf spee non sarebbe stata scritta i mare ma bensì ai tavoli della politica e della diplomazia.
una nave il cui paese è belligerante, può chiedere ospitalità ad un paese neutrale solo per cause di forza maggiore e in ogni caso, sempre per un tempo limitato. senza gravi avarie dovrà allontanarsi dalle acque territoriali entro 24 ore altrimenti sarà internata. gli inglesi da parte loro non avevano fretta anzi, aspettavano l’arrivo dei rinforzi.
in germania si considerava la situazione molto grave. sarebbe stato preferibile rifugiarsi nel porto di un paese amico, come il brasile, ma se langsdorff aveva preso questa decisione, voleva significare che non c’erano alternative. inoltre il comandante tedesco aveva chiamato per radio il comandante dell’altmark liberandolo da ogni impegno. se la graf spee aveva allontanato la sua nave appoggio, voleva dire che non aveva speranza di rientrare in germania. la sera del 14 dicembre una commissione uruguayana salì a bordo per rendersi conto delle avarie dopo di che concesse 72 ore per le riparazioni contr i 15 giorni chiesti dai tedeschi. vennero celebrati i funerali dei 36 marinai della graf spee caduti durante il combattimento ai quali assistette la popolazione della città. tra le corone ce ne era una offerta dai 60 prigionieri inglesi “ospitati” sulla nave dedicata “alla memoria dei valorosi marinai, da parte dei loro camerati della marina mercantile britannica”.
il 16 langsdorff comunicò a berlino di non essere più in grado di riprendere il mare a causa dell’arrivo della ark royal e della renown pertanto domandò se non era meglio affondare la nave piuttosto che farla internare. il giorno successivo hitler ordinò l’autoaffondamento. l’equipaggio venne quasi tutto sbarcato e trasferito sulla petroliera “tacoma”. tutta montevideo osservò quindi la grande nave prendere il largo e portarsi a 6 miglia a sud-ovest.
esplose in una immensa colonna di fumo.
langsdorff fu un ufficiale di altissimo valore. tutti i prigionieri riconobbero i suoi modi cavallereschi e si congratularono per il modo in cui erano stati trattati. ma il comandante tedesco non volle sopravvivere alla sua nave. il 20 dicembre venne trovato morto nella sua camera di albergo. disteso non sulla bandiera nazista ma bensì su quella della marina militare tedesca.
persa la graff spee anche la “deutschland” rientrò in germania a la guerra di corsa venne sospesa. erano passati tre mesi dall’inizio del conflitto. quando però la germania invase la francia rendendo disponibili i porti sull’atlantico, la “admiral scheer” salpò per una crociera che costò agli inglesi 10.000 ton di naviglio. il 5 novembre del 1940 attaccò il convoglio hx84 costituito da 37 navi mercantili. l’incrociatore inglese “jervis bay”, nonostante la sua inferiorità, impegno coraggiosamente la corazzata tedesca dando modo al convoglio di disperdersi. il 30 novembre salpò l’incrociatore pesante “admiral hipper” raggiunto anche dalla scharnorst e dalla gneisenau con la quali attaccò il convoglio hx108. a scorta del convoglio, si trovava la corazzata “ramilles” da 380 la cui presenza bastò ad allontanare i tedeschi. furono queste le ultime operazioni “corsare” che si conclusero con l’avventura della “bismarck” alla cui caccia si scatenò la flotta inglese.
 

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sopra e sotto le onde
dal sommergibile al sottomarino

nel decennio successivo alla fine della prima guerra mondiale, la gran bretagna si adoperò per inserire nel testo del trattato di washington la norma che vietava la costruzione di mezzi subacquei. secondo il credo della marina britannica le corazzate rappresentavano le “capital ship”. fu per merito delle altre nazioni che si svilupparono le componenti subacquee e si ebbero progressi tecnici e operativi in quanto venne riconosciuto il valore strategico del sommergibile. l’uss navy incrementò le dimensioni dei battelli e adottò procedure atte a velocizzare l’immersione del battello. altre nazioni, grazie alle requisizione quali prede belliche di u-boot tedeschi, appresero nozioni tecniche a loro sconosciute. si verificarono anche esempi di sopravalutazione che portarono alla creazione di battelli armati come le navi di superficie e destinati al fallimento. uno di questi esempi è lo “sorcouf” francese, che abbiamo già conosciuto, armato con due cannoni da 203mm sistemati in torretta non brandeggiabile a proravia della falsa torre.
comunque nel periodo tra le due guerre si realizzarono battelli in grado di operare a quote sempre maggiori, più veloci e meglio armati. questo sviluppo non fu parallelo tra le varie nazioni anzi, vennero sviluppati concetti che rivelarono tra loro molto differenti.
la marina statunitense non comprese che il miglior bersaglio della guerra subacquea era rappresentato dal traffico mercantile quindi vennero sviluppati sommergibili adatti ad operare in collaborazione con le navi di superficie. nasce così il concetto di “fleet submarine” il cui compito era la ricognizione e l’attacco a navi militari. erano pertanto richieste doti di buona tenuta al mare, autonomia e velocità. si imposero perciò i progetti di battelli di dimensioni sempre più grandi e con apparati motore sempre più potenti. si passò dalla chiodatura alla saldatura dello scafo. la electric boat company divenne l’unico fornitore di battelli mentre la general motors e la fairbanks si imposero come leader nella produzione di diesel marini. si giunse allo standard progettuale che originò due classi di sommergibili, i “gato” e i “balao”, quest’ultimi caratterizzati da uno scafo più spesso e resistente. entrambe le classi dislocavano 1.500 ton in superficie, avevano una lunghezza di 95m e potevano trasportare 24 siluri da 533mm.
il trattato di versaiiles vietava alla germania il possesso di sommergibili ma negli anni 20 il governo tedesco entrò segretamente in possesso di una società olandese specializzata nel progetto di battelli subacquei. nel 32 venne approvata la costruzione di 16 nuovi u-boot e l’anno successivo venne creata la scuola sommergibilisti. dal 36 al 39 vennero impostati 46 sommergibili tipo vii, i mezzi preferiti da donitz tanto che ne vennero programmati 1452. i tipo vii (nelle varie versioni da vii-a a vii-f) erano di gran lunga superiori ai mezzi della i^ gm. il tempo di immersione era stato ridotto a 20 secondi, la quota operativa era di 200m, l’autonomia era di 8.700 miglia. si trattava di mezzi in grado di dare del filo da torcere alle marine alleate.
in italia si discusse a lungo sull’impiego tattico dei sommergibili e vennero realizzati tra il 23 e il 37 un gran numero di mezzi, tanto che all’inizio della guerra risultava essere la seconda marina subacquea del mondo, anche se si trattava di battelli tecnicamente obsoleti. inoltre era assolutamente superato il loro impiego tattico che si basava ancora, come visto nella grande guerra, sul concetto di “boa offensiva” anziché su quello della manovra. la flotta era composta da battelli definiti “da media crociera”, le varie classi “squalo”, “diamante”, “perla”, “argonauta”,”adua”, “marcello” e “brin”, dislocavano tra le 600 e le 900 ton. erano battelli caratterizzati da una discreta autonomia, scafi sufficientemente robusti e capaci di buone profondità operative. doti alle quali però si contrapponevano lunghi tempi di immersione e scarsa velocità. tra il 31 e il 38 vennero realizzati anche 17 battelli “oceanici” da 1.000 – 1.400 ton classi “calvi”, “saint-bon”, “marconi” e “liuzzi”.
riassumendo, i concetti dominanti sulla costruzione dei sommergibili portarono a miglioramenti come: aumento della profondità di immersione ben oltre i 100m contestualmente ad un alleggerimento dello scafo grazie all’utilizzo di acciai speciali e all’adozione pressoché universale della sezione circolare. aumento del dislocamento. la velocità media in emersione si attestò intorno ai 17 nodi con punte di 20-22 nodi. di contro la velocità e l’autonomia in immersione non aumentarono molto a causa dello scarso progresso degli accumulatori. un notevole progresso si ebbe nella rapidità di immersione e nella semplificazione dei metodi di allagamento delle casse centralizzando le manovre in apposite “tastiere” e nella vivibilità dei battelli per consentire lunghe permanenze in mare e in immersione (un tipo xxi rimase immerso 70 giorni).
come abbiamo visto il 1943 vide l’affondamento di 263 sommergibili. per migliorare le qualità, venne progressivamente abbandonato l’armamento di superficie (cannoni) cercando di limitare al massimo le discontinuità esterne. si ripresero gli studi sul motore unico in quanto neanche lo snorkel rappresentava un miglioramento sostanziale dato che il battello era vincolato alla quota snorkel” e quindi avvistabile da un aereo.
il sommergibile deve diventare un “sottomarino”, cioè un mezzo destinato a navigare praticamente sempre immerso, con elevata velocità ed autonomia. vedremo come ci si arriverà.
 

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