a gentile richiesta,(http://www.cad3d.it/forum1/showthread.php?t=27327) parliamo un po' di mine subacquee (o torpedini). d'altronde avevamo già discusso di siluri quindi, per par condicio...
come al solito, facciamo prima un po' di storia.
siamo nella francia del '600 regnata da luigi xiii di borbone detto il "re giusto". e' l'epoca dei cardinali richelieu e mazzarino, della monarchia assoluta, di guerra contro gli eterni rivali inglesi.
proprio quest'ultimi ebbero l'idea di utilizzare di bidoni galleggianti pieni di polvere da sparo contro la flotta francese lasciandoli alla deriva. un acciarino da moschetto inserito nel barile, al minimo urto scattava innescando l'esplosione che avrebbe gravemente danneggiato, se non addirittura affondato, la nave nemica. in realtà le vittime furono poche e tra esse ci furono anche navi degli stessi britannici. le mine erano pericolose nella stessa misura sia per l'attaccato che per l'attaccante (bisogna ricordare che questi ordigni non sono discriminanti ed esplodono all'urto con qualsiasi nave, amica o nemica).
ma l'idea aveva aperto una nuova era nel combattimento navale.
l'idea fu ripresa e migliorata da un ufficiale della flotta pontificia. dei recipienti galleggianti, ancorati al fondo per non farli andare alla deriva, proteggevano l'accesso ai porti dalle minacce navali.
così una nuova materia di ricerca e sperimentazione era disponibile e americani e inglesi, tra il 700 e l'800, dedicarono molto tempo allo studio degli effetti delle esplosioni subacquee.
supponiamo di fare detonare una carica esplosiva (per semplicità la considereremo sferica), posta ad una certa profondità sott’acqua. l’innesco propaga l’onda di detonazione all’esplosivo che al suo passaggio, si trasforma in un gas a 3000° con una pressione che può raggiungere le 50.000 atm. tutto, senza cambiamenti di volume.
a seconda del tipo di esplosivo, l’onda viaggia a 6000 m/sec percorrendo lo spazio in pochi microsecondi. ora l’onda di detonazione ha raggiunto la periferia della carica, quella a contatto con l’acqua, e provoca un onda d’urto la quale, conserva ancora una notevole quantità dell’energia sviluppata. il gas forma una bolla di pressione che supera di molto il corrispondente valore della pressione idrostatica. la pressione iniziale è molto diminuita ma è tutt'ora molto più elevata della pressione idrostatica di equilibrio. l’acqua è accelerata verso l’esterno e il diametro della bolla aumenta rapidamente. durante l’espansione la pressione del gas diminuisce mentre il moto dell’acqua che si sposta all’esterno permane per via dell’inerzia. quindi la pressione decade al di sotto della pressione di equilibrio e il flusso di acqua verso l’esterno si arresta. in questo momento il contorno esterno della bolla comincia a contrarsi con velocità crescente e il moto si inverte. ora l’acqua torna verso il centro della bolla da cui però viene respinta dalle proprietà elastiche dell’acqua e del gas. si innescano delle “pulsazioni”, ossia dei cicli ripetuti di espansione-contrazione fino a che tutta l’energia non viene dissipata o la bolla raggiunge la superficie rompendosi. superficie e fondo del mare, causano effetti di riflessione che incrementano gli effetti. in superficie vedremo inizialmente l’arrivo dell’onda d’urto sotto forma di un cerchio sulla verticale dell’esplosione, poi l’acqua si innalza fino a che la bolla si rompe e proietta l’acqua in una colonna.
la detonazione forma un onda d’urto che diminuisce di intensità mano a mano che ci si allontana dal centro dell’esplosione. quest’onda, detta primaria, è immediatamente seguita da un secondo fenomeno di durata molto maggiore che è l’espansione dei gas e dal terzo fenomeno oscillatorio smorzato. mentre il primo fenomeno è dipendente dalla velocità di detonazione, il secondo è in rapporto con l’energia sviluppata cioè, dal potenziale dell’esplosivo. tutti questi fenomeni hanno la loro quota parte negli effetti distruttivi e mentre il primo è un colpo rapido e violento, il secondo è uno sforzo che dura un tempo relativamente lungo. il primo perfora, il secondo contorce.
se il bersaglio è un blocco monolitico gli effetti dello scoppio sono relativamente modesti. ma se invece è cavo, un alternarsi di pieni e vuoti come può essere uno scafo, allora gli effetti possono essere devastanti. l’onda d’urto primaria causa la rottura della struttura mentre le onde di pressione squarciano e contorcono il resto. gli studi in materia hanno dimostrato che una esplosione che avviene in prossimità della superficie ha effetti considerevolmente ridotti mentre aumentano all’aumentare della profondità. a parità di distanza, effetti ancora maggiori si hanno se l’esplosione avviene al di sotto della nave
sappiamo che l’acqua è incomprimibile e l’onda viene trasportata per lunghe distanze scaricandosi sulle murate delle navi le quali, non avendo resistenza sufficiente, cedono provocando la rottura del fasciame e aprendo numerose vie d’acqua. se a questi effetti aggiungiamo il fatto che le paratie stagne sono state introdotte alla fine del 1800, possiamo immaginare come uno squarcio relativamente piccolo, potesse affondare una nave anche di grandi dimensioni.
il primo prototipo fu progettato nel 1810 dallo statunitense robert fulton, ma agli inizi non ebbe molta fortuna e la sua realizzazione fu subordinata alla costruzione di altre armi.
la mina di fulton era costituita da una cassa, con circa 45 kg di esplosivo, alla cui sommità era montata una scatola contenente il congegno di innesco ad urto e nella parte inferiore della cassa era collegata una scatola vuota per aumentare la spinta. l'ormeggio era realizzato con un cavo di canapa e grossi pesi in funzione di ancora.
il primo impiego bellico delle mine si ebbe durante la guerra di crimea (1854/1856).
i russi usarono per scopi difensivi sia mine a contatto simili a quella ideata da fulton, sia mine posate sul fondo ed azionate elettricamente da terra con un metodo di controllo realizzato negli stati uniti nel 1843, dal colonnello colt (tra i molti nomi che si dedicarono a questi studi, ci fu anche samuel colt ossia, il papà della famosa pistola dei cow boy).
un impiego di massa delle mine si ebbe, però, solamente durante la guerra civile americana (1862-1865), quando gli stati del sud le usarono per impedire alle navi degli stati del nord di risalire i fiumi per bombardare le loro principali città.
ma il principale sviluppo che porto alla mina moderna, si ebbe grazie ad un italiano.
giovanni emanuele elia, nato a torino il 15 marzo 1866, nel 1880 entrò come allievo nella scuola di marina di napoli per poi passare, l'anno successivo, al primo corso della neo costituita accademia navale di livorno. già nel 1889 ideava un modello di torpedine a funzionamento semplificato; presentando l'anno seguente un progetto definitivo per un'arma ad ancoramento automatico.
le mine dell'epoca, necessitavano per la messa in opera, di operazioni lunghe, laboriose e costose. il modello di elia, al contrario, faceva registrare un'estrema facilità di posa in opera anche su alti fondali: diventava perciò proponibile l'uso cosiddetto "offensivo" dell'arma (cioè teso a colpire gli spostamenti del nemico e non solo a difendere le proprie coste), come già ipotizzato dall'ammiraglio s. pacoret di saint-bon diversi anni prima.
inizialmente le "torpedini da blocco", in seguito denominate "mine subacquee ad ancoramento automatico, erano costituite da una sfera metallica in acciaio, rame o ottone, a tenuta stagna in cui vi era un piccolo contenitore metallico, che racchiudeva l'esplosivo, 145 kg di potentissimo trinitrotoluene. questo contenitore era sospeso al centro della sfera esterna sostenuto da bracci radiali, anch'essi sempre in ferro. gli "urtanti" (lunghi cilindri in piombo nel cui interno vi era una fiala di acido), erano posizionati nella parte alta della mina. urtando la mina questi si piegavano con estrema facilità, la fiala si rompeva e l'acido colava attraverso un piccolo tubicino nella seconda cassa interna, quella dell'esplosivo. l'acido raggiungeva cosi una miscela di clorato di potassa e zucchero producendo una fiamma caldissima e la conseguente detonazione dell'esplosivo. in seguito si sostituì il sistema di innesco, la rottura di una fialetta di elettrolita imbeveva e faceva funzionare una pila elettrica; la corrente di questa, arroventando un sottile filo di platino, determinava l'accensione del detonatore al fulmicotone. nella parte centrale dell'involucro della torpedine una cavità piena d'aria assicurava una spinta verso l'alto tale da permettere il galleggiamento dell'ordigno, non appena lanciato in mare.
elia progettò una serie di automatismi che resero possibile la posa di mine da parte di unità preposte allo scopo, le "posamine". l'idea più importante per il lavoro delle "posamine, fu l'invenzione del carrello d'ancoraggio per le mine stesse. grazie a questo sistema, la posa in mare diventava semplice e veloce tanto che una nave poteva, in venti minuti, posare uno sbarramento di 12 km procedendo alla velocità di venti nodi (quasi 40 km/h).
fino ad allora le mine erano fissate al fondo con grosse ancore o blocchi in cemento e il problema stava nello scegliere il punto giusto dove posarle, in modo che il fondo permettesse alla lunghezza del cavo di trattenere la mina a pelo dell'acqua quindi quasi invisibile.
il carrello invece, era un cassone in ferro di grande peso che durante il trasporto reggeva sopra di se la mina, rendendo questo più semplice e sicuro, al suo interno aveva un sistema capace di srotolare il cavo in acciaio che doveva tenere la mina ancorata a lui e di trattenerla ad una profondità stabilita e calcolata in precedenza grazie ad un sistema a pressostato. la scelta della zona di ancoraggio non era più fatta a seconda della profondità ma al bisogno o dove era probabile il passaggio del nemico.
(segue...)