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波の上および下

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sopra e sotto le onde
7) le costruzioni navali (navi in ferro – generalità)
apriamo ora un capitolo meno storico ma più tecnico, dedicato alle costruzione navali. siamo arrivati agli scafi in ferro e quindi ad un nuovo modello costruttivo. ora, non essendo io presente nell’800 per sapere quali fossero le condizioni progettuali, parlerò del metodo attuale rifacendomi per quanto possibile, al contesto storico a cui siamo arrivati.
quando si decide la costruzione di una nave, occorre determinare le condizioni tecnico/economiche che influenzeranno il progetto. i problemi da risolvere sono inerenti a: distribuzione dei volumi, geometria della nave, stabilità, tipo di carena, resistenza al moto, apparato motore, robustezza.
per la fase di studio della realizzazione, si procede con la cosiddetta “spirale di progetto”. in pratica si parte dalla scelta della lunghezza e si calcolano le altre dimensioni in funzione di essa. si determinano i coefficienti di finezza per definire le forma di carena. si sceglie l’apparato motore, si valutano le superfici, si determinano i pesi e si arriva al dislocamento. si dispongono gli spazi, si calcolano le prestazioni, la manovrabilità, la robustezza della struttura ed i costi. a tal punto si rientra dall’inizio della spirale e si ripete fino al raggiungimento del risultato voluto. per il dimensionamento degli elementi costruttivi, si può ricorrere a formule semi-empiriche ricavate da appositi regolamenti oppure, si deve eseguire un vero e proprio calcolo analitico.
la nave è costituita da una serie di lamiere il cui spessore decresce dalla parte centrale verso le estremità di poppa e prora, unite fra loro mediante chiodatura (fino a non molti anni fa) o saldatura. queste lamiere costituiscono il “fasciame” che si appoggia ad una serie di appoggi trasversali detti “costole” o “ordinate”. si chiama “cinta” il primo corso di fasciame superiore, “sottocinta” il corso immediatamente sottostante. entrambi sono particolarmente importanti per la robustezza longitudinale ed infatti, il loro spessore è generalmente superiore a quello del rimanente fasciame. dal sottocinta (che nelle piccole navi può non essere presente), si estende verso il basso il “fasciame dei fianchi” seguito dal “ginocchio” e dal “fasciame del fondo”. l’ultimo corso di fasciame prende il nome di “torello” ed è seguito dalla “chiglia” che può essere piatta o a barra. alle estremità della chiglia, sono unite le strutture della prora e della poppa. il fasciame, in particolare quello del fondo, viene irrobustito dai “paramezzali”, “longitudinali” e “correnti”. le travi trasversali del fondo, si chiamano “madieri”. le paratie trasversali, sono costituite da un diaframma di lamiere che vanno dal fondo ai ponti e alle murate, vengono irrigidite da una serie di rinforzi verticali, ”montanti”, e orizzontali, “traverse”. per scafi saldati, si possono utilizzare lamiere corrugate che rendono la struttura sufficientemente robusta. se queste paratie non consentono il passaggio di acqua da un locale all’altro, sono dette “paratie stagne”. la paratia stagna estrema a poppa si chiama “paratia del premistoppa”, quella all’estremità prodiera, si chiama “paratia di collisione”. alcune navi hanno anche paratie stagne longitudinali. il “doppiofondo” è un raddoppio del fasciame del fondo e conferisce un elevato grado di robustezza oltre che a fornire una “riserva di spinta” e zone dove disporre casse per liquidi come acqua dolce, combustibile, acqua di zavorra, ecc. le travi trasversali che danno appoggio ai ponti, si chiamano “bagli”. il fasciame del ponte, all’incontro con le murate, si chiama “trincarino”.
secondo il metodo di costruzione, le navi possono essere raggruppate in quattro categorie:
- a struttura trasversale. si preferisce su navi di piccole dimensioni che non presentano grandi momenti flettenti. (il mf a ½ nave è proporzionale al quadrato della lunghezza). la nave è costituita da una serie di telai trasversali (costole o ordinate) dove ogni 3 o 5 si inserisce una ossatura rinforzata (stessi elementi ma di dimensioni maggiori). longitudinalmente vi sono solo travi principali.
- a struttura longitudinale. nasce quale conseguenza dell’aumento delle dimensioni delle navi in quanto garantisce maggiore resistenza alle sollecitazioni causate dai momenti flettenti. rimane la struttura trasversale per la prora, la poppa e la zona dell’apparato motore.
- a struttura mista. e’ prevalentemente longitudinale sul fondo e sotto il ponte e trasversale sui fianchi.
- a struttura longitudinale moderna o “isherwood” nella quale vengono eliminate molte ordinate comuni, sostituite da un minor numero ma rinforzate.
la struttura del fondo è una delle più importanti. essendo un elemento posto alla maggior distanza dall’asse neutro, sopporta le massime sollecitazioni. può essere a semplice o a doppio fondo.
 

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sopra e sotto le onde
7) le costruzioni navali (navi in ferro – generalità 2^ parte)

le navi, in particolare quelle militari, sono destinate ad avere una vita operativa superiore ai 25 anni che spesso vengono prolungati grazie ad interventi di “refitting”. bisogna considerare che per la durata della loro vita, dovranno conservare un elevato livello di efficienza nonostante l’ambiente ostile, (moto ondoso, corrosione, ecc). mentre il naviglio mercantile è soggetto a controlli da parte dei registri di classificazione, per le navi militari questo non è richiesto in quanto gli standard di sicurezza imposti sono maggiori. i registri di classificazione (rina in italia, lloyd in inghilterra,…) stabiliscono le norme alle quali il costruttore deve attenersi circa il dimensionamento strutturale, il tipo di materiali impiegati ed approvano i disegni proposti dai cantieri.
analizzando la statica della nave, si deduce che su di un corpo totalmente o parzialmente immerso, agiscono due sole forze: la forza peso, ossia il dislocamento, pari alla somma di tutti i pesi interni, diretta verso il basso e applicata nel centro di gravità e la spinta idrostatica, diretta verso l’alto e passante per il centro di carena. si nota che non è definito il punto di applicazione di questa spinta (centro di spinta) in quanto di difficile determinazione ma, si preferisce indicare il “centro di carena” ossia il baricentro del volume dell’opera viva. la differenza fondamentale tra i corpi totalmente immersi (sommergibili) e parzialmente immersi (navi) è che la posizione del centro di carena nei primi non varia al variare dell’inclinazione del mezzo mentre nei secondi, la posizione del centro di carena, ossia dove passa la linea di azione della spinta, varia al variare dell’inclinazione. il centro di gravità g generalmente si trova ad una altezza poco maggiore della metà dell’altezza dello scafo. poiché l’acqua spostata si trova tutta al di sotto del piano di galleggiamento, il centro di carena b si trova si trova poco sopra la metà dell’immersione, in posizione inferiore al baricentro g. senza approfondire eccessivamente l’analisi di questo aspetto, è intuitivo che la posizione di questi due punti è fondamentale per la stabilità della nave.
la resistenza al moto di una imbarcazione dipende essenzialmente da due cause, indipendentemente dal tipo o dalle dimensioni.
- la resistenza d’attrito causato dall’attrito dell’acqua contro la superficie dello scafo e dipendente dal numero di reynolds.
- la resistenza d’onda generata dalle onde di superficie.
a questi fattori se ne assommano altri meno influenti. e’ da notare che la resistenza di attrito, aumenta all’aumentare della velocità pertanto il progettista deve cercare per il dislocamento richiesto dall’armatore e la velocità desiderata, le forme di carena che porteranno al minor spreco di potenza. in ogni caso si cercherà di realizzare un certo dislocamento con una certa velocità realizzando una carena della minima lunghezza possibile e della minor potenza installata (per contenere i costi).
le forme che la carena può assumere sono fondamentalmente due, tonda o a spigolo. la carena tonda, detta “dislocante”, con l’aumentare della velocità raggiunge una resistenza d’onda superiore a quella d’attrito ed è quindi preferibile per velocità medio/basse. la carena a spigolo detta “planante”, raggiunta una certa velocità ha una resistenza di attrito che supera quella d’onda. inoltre per le navi che hanno caratteristiche di peso, lunghezza, velocità intermedie, si adotta la carena “semiplanante” o “semidislocante” detta anche “deep-v”. come già detto, le resistenze al moto sono dipendenti anche dalla resistenza di onda che è data dalla differenza tra le pressioni nella zona prodiera dirette da prora verso poppa e le pressioni della zona poppiera che hanno risultante opposta. la resistenza d’onda di una nave dipende dalla velocità, dalla lunghezza, dalla forma di carena e cioè dall’angolo di penetrazione delle linee d’acqua, dalla distribuzione del volume in senso longitudinale.
e’ per questo che si utilizzano i bulbi di prora i quali modificano gli angoli di penetrazione e la distribuzione del volume. sono un mezzo efficace per ridurre la resistenza d’onda anche se a bassa velocità l’effetto è negativo. in ogni caso un bulbo riduce le accelerazioni della prua dovute al beccheggio migliorando quindi la tenuta al mare.
dovendo costruire una nave avente carena dislocante, gli obiettivi da raggiungere come ho già detto sono:
- raggiungere la velocità richiesta con la minima potenza possibile
- assicurare buone qualità di tenuta in mare
- assicurare buona stabilità, mantenimento della rotta e buona manovrabilità.
lo scopo è quindi di soddisfare le richieste con il minor dislocamento possibile. questo non significa risparmiare sugli spessori delle strutture riducendo di conseguenza il grado di sicurezza strutturale ma, ottimizzare gli spazi evitando sprechi di aree, volumi,ecc.
per la scelta della carena, si può fare riferimento alle serie sistematiche sperimentate in vasca navale (carene di riferimento).
- serie di taylor
- serie 60 di f.n.todd
- serie 64
- serie npl
- serie nordstrom
- serie 63
- serie sspa
la serie di taylor è ritenuta la più completa ricerca degli effetti sulla potenza effettiva (pe) causati dal variare dei rapporti della carena rispetto alla carena di riferimento. i dati sono rappresentati in grafici con curve di resistenza residua in funzione del “coefficiente di finezza longitudinale”.
mentre per la carena dislocante il sostentamento è dato dalla spinta idrostatica, per la carena “planante” il sostentamento è dato dalla spinta dinamica che si genera sul fondo per effetto dell’inclinazione dello scafo. una carena in planata ha i fianchi non bagnati in quanto la velocità sotto il fondo è tale da spingere il fluido lontano dagli stessi. ottimizzando la forma di una carena dislocante, si ottiene una carena tonda cioè la forma che offre minore resistenza all’avanzamento. facendo lo stesso per una carena planante, si ottiene una carena a spigolo. ma alcune volte, le condizioni di progetto non sono soddisfatte da nessuna delle due. occorre pensare ad una carena “ibrida”, la carena “semidislocante” o “semiplanante”.
la carena semidislocante deriva da una carena tonda la cui elevata velocità creerà una formazione ondosa tale da avere un forte appoppamento causato dall’effetto di depressione a poppavia. occorrerà modificare pertanto la forma della poppa in modo da raggiungere un assetto orizzontale. avremo una carena con prua penetrante, poppa piatta, ginocchio di carena con piccolo raggio o addirittura a spigolo. anche per le carene semidislocanti, i principali componenti della resistenza totale sono la resistenza d’attrito e quella residua o d’onda. la resistenza d’attrito è dipendente dalla superficie bagnata, dalla lunghezza e dalla velocità. la resistenza residua o si calcola tramite le serie sistematiche tipo npl o 63/64 oppure tramite approccio statistico.
lo scafo semiplanante deriva da una carena a spigolo la cui velocità non è sufficiente da farle raggiungere la velocità di planata e di permettere quindi all’acqua di allontanarsi dai fianchi. anche in questo caso la nave risulta appoppata e quindi necessita di una poppa più portante. per questo genere di carene, sono necessari i flaps. la carena semiplanante è caratterizzata per la forma a spigolo, da minori angoli di beccheggio e d’imbardata. queste caratteristiche hanno permesso di sviluppare navi di grande tonnellaggio che possono raggiungere alte velocità. queste carene sono chiamate
deep-v.
(segue...)
 
sopra e sotto le onde
8) analisi delle tensioni
semplificando il più possibile, diciamo che una nave che galleggia in acque tranquille è sottoposta ad una serie di sforzi che tendono deformarla e romperla. tali sforzi non sono di facile definizione e spesso vengono valutati su base statistica. e’ evidente che la principale necessità è di ottenere la massima robustezza con il minimo impiego di materiale (esigenza comune a tutte le strutture, non solo quelle navali). e’ da sottolineare che lo studio globale delle strutture di una nave è necessario solo per le navi di nuovo tipo, per quelle già note è sufficiente l’analisi delle tensioni primarie e terziarie.
abbiamo visto che gli scafi possono venir costruiti in vari materiali ma prevalentemente si utilizza l’acciaio. la costruzione di navi in acciaio ha avuto rapidissima diffusione in quanto hanno offerto fin dall’inizio vantaggi molto superiori a quelli in legno. vediamo quali sono questi vantaggi.
il principale è senza dubbio la robustezza longitudinale. questo ha permesso di realizzare navi di grandi dimensioni anche di 300 metri mentre all’epoca del legno una costruzione che superava i 60 era già un’eccezione. fra gli svantaggi, la corrosione che obbliga a frequenti soste in bacino di carenaggio.
abbiamo detto degli sforzi notevoli che gli scafi devono sopportare, essi possono essere: longitudinali. trasversali, torsionali, locali.
gli sforzi longitudinali sono principalmente determinati dalla differenza tra peso e spinta nei vari punti della nave. questo perché per un certo tratto della lunghezza dello scafo, il peso non corrisponde alla spinta che riceve dall’acqua. basti pensare alla prua o alla poppa, molto pesanti ma dalle forme affinate e quindi con un “galleggiamento” inferiore o il locale delle macchine oppure, alle zone centrali, di forma larga e struttura relativamente leggera con tendenza maggiore a galleggiare. inoltre, se anziché in acque tranquille, la nave si trova in presenza di onde ed precisamente sulla cresta di un onda di lunghezza pari alla lunghezza della nave, le estremità sottili e pesanti tenderanno ad immergersi molto, tanto più visto che si trovano nella parte bassa dell’onda mentre le parti centrali, larghe e leggere, tenderanno ad emergere anche perché si trovano nella parte alta dell’onda. lo scafo quindi ha la tendenza ad “inarcarsi”. se si verifica il caso opposto e cioè la nave si trova nel cavo di un onda di uguale lunghezza, essa tenderà ad “insellarsi”. questo movimento mette a dura prova gli elementi longitudinali soprattutto quando, a causa del beccheggio, essa tende ad emergere o ad immergersi più del normale. in generale gli sforzi longitudinali sono più importanti e pericolosi.
gli sforzi trasversali si manifestano in presenza di moto ondoso e conseguente rollio dato che ogni elemento tende ad oscillare con un periodo proprio diverso da quello complessivo. ne consegue che le strutture tendono a muoversi tra loro. inoltre si manifestano grandi sforzi trasversali ogni qualvolta la nave viene immessa in bacino dato che, appoggiando sulla chiglia, essa riceve una pressione da parte delle taccate che tendono ad “aprire” i fianchi dello scafo.
gli sforzi torsionali sono una combinazione dei due precedenti e si manifestano quando un’onda investe lateralmente la nave senza prenderla per tutta la lunghezza.
gli sforzi locali sono dovuti al mare per effetto della pressione idrostatica accentuati dalla pressione idrodinamica durante il moto e ai pesi/sforzi localizzati dovuti ad esempio all’apparato motore o a urti.
tutti questi tipi di sollecitazioni devono essere contrastate dalla struttura complessiva, gli sforzi longitudinali dalle strutture longitudinali, gli sforzi trasversali dalle strutture trasversali, gli sgrzi torsionali dalla associazione delle due strutture. dal prevalere di una o l’altra di queste strutture prende il nome di nave a struttura longitudinale o trasversale come già detto nel cap. 7.
dopo aver visto a quali sforzi è genericamente soggetta una nave, vediamo come si analizzano più dettagliatamente le tensioni.
tensioni primarie
le tensioni chiamate primarie sono quelle originate dall’insieme dei carichi che complessivamente agiscono sullo scafo resistente delle nave che si comporta come una vera e propria trave, chiamata infatti “trave scafo”. (hull girden).
la trave scafo può essere assimilata ad una trave su appoggio. i carichi agenti sono costituiti dai pesi delle strutture, dall’apparato motore, dell’allestimento e dei carichi imbarcati. in assenza di questi ultimi abbiamo il peso di ”nave scarica ed asciutta”. se invece si aggiungono i liquidi non pompabili e quelli circolanti nell’apparato motore, si ha il peso della così detta “nave vacante”.
la trave scafo è sorretta dalle spinte che sostengono la carena e il cui andamento si ricava dal “diagramma delle aree trasversali immerse”.
la somma algebrica dei pesi (weight) e delle spinte (buoyancy) costituisce il “diagramma dei carichi o residuo”. da esso si ricava il diagramma dello sforzo di taglio e il momento flettente longitudinale. in ogni sezione trasversale lo sforzo di taglio e il momento flettente, generano le “tensioni primarie”.
quanto detto si applica in acque tranquille infatti, in presenza di moto ondoso ai pesi sopra considerati, occorre aggiungere le forze di inerzia dei carichi imbarcati e le pressioni idrostatiche e dinamiche generate.
per il calcolo della robustezza longitudinale, si considerano partecipanti gli elementi strutturali longitudinalmente continui.
la zona nel senso della lunghezza nella quale a seguito degli sforzi di flessione si manifesta il massimo momento flettente è compreso tra 0,4l per navi con apparato motore al centro e in 0,5l per navi con apparato motore a poppa essendo l la lunghezza della nave. per questa ragione, in tali zone, lo spessore del fasciame e del ponte (o dei ponti) vengono mantenuti costanti per poi diminuire verso prora e poppa.
per la determinazione del valore del momento flettente si procede nel seguente modo:
- si disegna in scala, riferendosi alla lunghezza della nave, il diagramma dei pesi nel quale l’area complessiva è uguale al peso totale della nave ed il baricentro è quello della nave.
- si disegna il diagramma delle spinte ottenendo la curva la cui area è uguale al diagramma dei pesi della nave.
- si traccia il diagramma degli eccessi di peso e spinta riportando le differenze fra i diagrammi delle spinte e dei pesi tenendo conto del segno. dall’integrazione degli eccessi si ottiene il diagramma degli sforzi di taglio (in ton). integrando il diagramma degli sforzi di taglio si ottiene il diagramma dei momenti flettenti.
con il diagramma dei momenti flettenti così ottenuto, si verifica che in ogni sezione il momento resistente w in relazione al momento flettente m dia una sollecitazione δ non superiore a δmax ammissibile. si ricorda che nella determinazione del momento resistente di ogni singola sezione, occorre tenere conto esclusivamente degli elementi longitudinali trascurando completamente quelli trasversali. inoltre se la struttura è anche solo parzialmente chiodata, occorre ridurre (mediamente del 20%) l’efficienza della struttura sottoposta a trazione (nessuna riduzione in caso di compressione).
tensioni secondarie
la rigidità trasversale di uno scafo, è minore nella zona centrale di una stiva ed è maggiore in corrispondenza di una paratia. un pannello del fondo compreso tra due paratie trasversali, si inflette sotto l’azione della pressione idrostratica. queste deformazioni della struttura sono chiamate ”tensioni secondarie” e si sommano alle tensioni primarie.
tensioni terziarie
si chiamano tensioni terziarie quelle che agiscono localmente sui singoli elementi per effetto dei carichi direttamente agenti su di essi. può essere condotta nella maggioranza dei casi utilizzando la teoria delle travi inflesse. per ciò che riguarda i fasciami, sostenuti dalle ossature comuni sono sottoposti a carichi distribuiti. dato che ogni pannello ha una lunghezza molto maggiore della sua larghezza e quindi, non risente dell’effetto dei vincoli costituiti dalle travi rinforzate che sostengono i suoi lati minori, la simmetria del carico e dei vincoli, consente di dimensionare i pannelli come travi di larghezza unitaria incastrata all’estremità.
le ossature comuni possono essere considerate come i fasciami. le travi rinforzate possono essere considerate incastrate alle estremità quando sostenute da travi rinforzate più rigide o da puntelli.
 
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9) …sotto le onde (finalmente….)
premessa
l’immersione e l’emersione di un battello, si ottiene normalmente con la variazione della “riserva di spinta”.
in una nave di superficie, si definisce riserva di spinta o galleggiabilità, il dislocamento del volume di scafo stagno al di sopra del galleggiamento. la riserva di spinta è determinata dal rapporto tra pesi imbarcati e dislocamento massimo che la nave può raggiungere senza sorpassare i limiti di sicurezza sulla galleggiabilità e la stabilità. per le navi da carico oscilla tra il 25 e il 40%, per le navi passeggeri 80 – 100%, navi militari 50 - 70 o 90 – 100%.
per ottenere l’immersione occorre annullare questa riserva di spinta. si può fare in due modi: staticamente e dinamicamente. nel primo caso si imbarca acqua di mare in apposite “casse di zavorra” mentre nel secondo, si utilizza una forza diretta verso il basso tale da equilibrare la spinta provocata dalla riserva. per tornare in superficie, nel primo caso si svuotano le casse mentre nel secondo, occorre diminuire o cessare totalmente la spinta.
all’inizio furono utilizzati entrambi i sistemi ma con il progresso delle costruzioni, prevalse il primo metodo mentre il secondo, l’uso dei timoni di profondità, rimase soprattutto per le variazioni di quota una volta immersi. questa evoluzione fu dovuta al fatto che i primi battelli avevano una riserva di spinta molto limitata ma, con l’aumento delle dimensioni, questo valore aumentò fino a raggiungere percentuali assai elevati. in tempi successivi la riserva di spinta è tornata a diminuire in quanto, l’adozione dello “snorkel”, l’autonomia subacquea, l’aumento della velocità in immersione, le migliori condizioni di vita a bordo, hanno portato il battello ad essere un mezzo subacqueo al 100%.
come ho detto, nei mezzi moderni le capacità di immergersi o di riemergere, viene realizzata mediante azione statica, cioè mediante l’imbarco/sbarco di acqua di zavorra. questa azione non è “totale” in quanto viene integrata in piccola parte da una “azione dinamica”. infatti la riserva di spinta non viene annullata completamente ma si lascia al smg una “riserva di spinta residua” di circa 1 tonnellata, allo scopo di garantire la tendenza “di sicurezza” a riemergere. questa spinta residua viene annullata dall’uso dei timoni orizzontali. in ogni caso, qualora si voglia ridurre al minimo il tempo di immersione, si può annullare completamente questa “riserva di spinta residua”. questa manovra si effettua mediante il veloce riempimento di una apposita cassa detta “rapida” il cui volume corrisponde a tale riserva di spinta residua.
sono considerati “sottomarini” i battelli aventi scarsa “riserva di spinta” cioè inferiore al 15%. “sommergibili” sono invece i mezzi con riserva di spinta superiore al 15%. per completare questa premessa sul funzionamento generico di una nave atipica quale il sommergibile, ricordo che avere un battello con poca riserva di spinta, significa avere poco “bordo libero” quindi; scarse qualità marinaresche nella navigazione in superficie. al contrario, una grande riserva di spinta offre buone caratteristiche in emersione ma molto peso inutile da trasportare in immersione. il battello deve quindi essere più grande ed è costretto a sprecare più potenza motrice oltre ad avere costi maggiori. si ha inoltre un aumento del tempo necessario all’immersione a parità di metodo di allagamento delle casse.
riferendoci alle varie epoche dell’evoluzione del mezzo subacqueo, si può dire che fino al 1896 la riserva di spinta si è mantenuta al di sotto del 10%. il “narval” del 1896 aveva una riserva di spinta del 40%. nella prima guerra mondiale il valore scese al 25%. nella seconda gm calò fino al 18 – 20%.
attualmente, la risoluzione del problema del motore unico (ad esempio nucleare, ma non solo) porta verso una ulteriore riduzione di tale valore portando i costruttori alla ricerca della migliore realizzazione quasi esclusivamente improntata alla navigazione in immersione.
 

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piccolo ot.... (se no che gusto c'è ???)
questa discussione mi fa venire in mente una "vecchia" canzone di alessio bertallot e patrizia di malta
"lunghezza d'onda"
l'avete mai sentita????
 
cito a memoria, perchè non trovo il testo su internet....

lascia che ti dica dove sono io, sospeso tra due mondi che si sfiorano!
il passato che ha vissuto questa sabbia e il futuro che lambisce questa spiaggia...
arriva un'onda e il mare sembra respirare. e un'onda ancora sento respirare. e un'onda poi raggiungerà il mio mondo... e in queste onde tutto affonda!
e' un mare mosso la mia vita qui. prima una forza che mi alza dalla risacca e poi mi tira giù! oggi sembrerebbe calma piatta. forse, domani, finalmente un'onda grossa.
ma in questo mare non so più chi sono io.
non cerco onde ma frequenze, cerco un'armonia.
non mi interessa un'altra onda speciale. mi interessa il mare!

rit.
c'è troppo sale nelle tue parole! c'è un'acqua dolce che le può lavare.
il vero amore profondo come il mare ma al di la della terra sotto il sole
se la tua anima in tempesta si volta, si agita e sprofonda, tu manda un segnale e ti risponderò. navigo sulla tua lunghezza d'onda!

e forse è vero, hai ragione, sto chiudendomi.
o forse sono stanco di finzioni...
troppi difensori delle libertà, e delle verità. c'è qualche cosa che non va.
volti troppo belli che presentano
donne troppo belle che sorridono
merce troppo buona che mi vendono. troppo! e da oggi non la compro più.
perche da oggi guardo avanti per vedere il vero mare che dovrò affrontare. il vero prezzo che dovrò pagare. pretendo di vedere in faccia il reale.
ma l'istinto dell'attrice non si scorda mai
e il politically correct non si scorda mai
e ogni grido, ogni onda che mi arriva lascia un po' di catrame sulla riva.
e non mi aiuta ciò che insegnano gli dei. troppo importanti per prenderli sul serio.
il mio futuro è un vasto mare. sono qui tra queste onde e non so come navigare....

rit.
c'è troppo sale nelle tue parole! c'è un'acqua dolce che le può lavare.
il vero amore profondo come....



credo ci fosse ancora una strofa, ma non me la ricordo...
 
sopra e sotto le onde
7) le costruzioni navali (navi in ferro – generalità 2^ parte)

ho capito grosso modo il discorso della carena planante (sarebbero i motoscafi, in piccolo, giusto?).

pero' volevo chiederti due cose, se non penso di farlo piu' avanti:

1) se mi spieghi un po' piu' in dettaglio la funzione del bulbo

2) se tratti, anche in modo rapido, il discorso del centro di gravita' ad altezza superiore al centro di carena, e come questo influenza la stabilita' della nave, come avevi accennato. a volte vedo navi portacontainer che non si capisce come fanno a non ribaltarsi....
 
infatti la riserva di spinta non viene annullata completamente ma si lascia al smg una “riserva di spinta residua” di circa 1 tonnellata, allo scopo di garantire la tendenza “di sicurezza” a riemergere.

quindi il sommergibile siffatto deve sempre muoversi per restare immerso? cioe' nel momento in cui dovesse arrestarsi la propulsione esso emerge spontaneamente?
 
1) se mi spieghi un po' piu' in dettaglio la funzione del bulbo

....

già..:biggrin:
e se ne avesse voglia e tempo magari tornare sulla vela (moderna sta volta)..
parlando di bulbo; quello "di prua" delle navi e quello "di deriva" delle vele, stesso nome per funzioni diverse (passatemi l'approssimazione), quali?

la vela quando "a regime" entra in planata pur avendo carena tonda.. come e perchè?

sono concetti che conoscevo più o meno, ma una rinfrescata tecnica non fa mai male.

saluti
marco:smile:
 
quindi il sommergibile siffatto deve sempre muoversi per restare immerso? cioe' nel momento in cui dovesse arrestarsi la propulsione esso emerge spontaneamente?

immagino che sia questo quello che indicava come "sicurezza". in caso di "guasto totale" di tutti i sistemi, compreso il propulsivo e verosimilmente quelli di "mantenimento" il smg riemerge per consentire il salvataggio dell'equipaggio.
penso che una manovra di "standby in immersione a propulsione spenta" sia prevista solo in senso "strategico", ovvero in caso di attacco o difesa per "silenziare" il battello. ovviamente con tutti i sistemi pronti ed efficienti. anche perche' "bilanciare" esattamente l'assetto solo con le casse mi sa una manovra piu' complicata che manovrare i timoni e i flaps di profondita'.

piu' che altro mi sono sempre chiesto dove prendono l'aria per svuotare le casse. devono avere delle consistenti riserve di aria compressa... pensate che brutta fine quella del sommergibilista: se vuoi riemergere devi usare l'aria, ma se fai cosi' muori soffocato per mancanza d'ossigeno: quindi devi scegliere se morire soffocato e provare a riemergere o tenerti l'aria e sperare che ti vengano a prendere...
 
piu' che altro mi sono sempre chiesto dove prendono l'aria per svuotare le casse. devono avere delle consistenti riserve di aria compressa... pensate che brutta fine quella del sommergibilista: se vuoi riemergere devi usare l'aria, ma se fai cosi' muori soffocato per mancanza d'ossigeno: quindi devi scegliere se morire soffocato e provare a riemergere o tenerti l'aria e sperare che ti vengano a prendere...


mi sono sempre ripromesso di vedere questo film ma mi dimentico sempre:

http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=26517

poi per chi ne ha voglia, le registrazioni di "betasom", sul sito di radio2:

http://www.radio.rai.it/radio2/alleotto/betasom/
 
1) se mi spieghi un po' piu' in dettaglio la funzione del bulbo

2) se tratti, anche in modo rapido, il discorso del centro di gravita' ad altezza superiore al centro di carena, e come questo influenza la stabilita' della nave, come avevi accennato. a volte vedo navi portacontainer che non si capisce come fanno a non ribaltarsi....

già..:biggrin:
e se ne avesse voglia e tempo magari tornare sulla vela (moderna sta volta)..
parlando di bulbo; quello "di prua" delle navi e quello "di deriva" delle vele, stesso nome per funzioni diverse (passatemi l'approssimazione), quali?
mi organizzo un attimo e vedo di rispondervi...
...anche perche' "bilanciare" esattamente l'assetto solo con le casse mi sa una manovra piu' complicata che manovrare i timoni e i flaps di profondita'.
vedrai quando si parlerà di lancio del siluro... e conseguente variazione d'assetto...
mi sono sempre ripromesso di vedere questo film ma mi dimentico sempre:

http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=26517

poi per chi ne ha voglia, le registrazioni di "betasom", sul sito di radio2:

http://www.radio.rai.it/radio2/alleotto/betasom/

ti consiglio di vede u-96 in versione integrale, non quella ridotta, forse il mio film "culto" sugli smg...
 
come ho detto al post precedente, mi "attrezzo" per rispondere. mi volete proprio far sudare...
però siccome mi ero già preparato un pezzo a cui tengo molto, (i smg sono la mia "passione"), posto prima questa parte.
concedetemelo... :wink:


sopra e sotto le onde
10) …sotto le onde - un po’ di storia…
“per quanto riguarda il ricordo del passato, specie se lontano, non è, a rigore, argomento di tecnica navale, la storia della evoluzione di questa tecnica è sempre formativa e rappresenta un giusto riconoscimento per chi ha segnato la strada a costo di sforzi e talvolta a sacrificio della propria vita…” tratto da “dispense di costruzioni navali militari”.

l’aspirazione dell’uomo di navigare sott’acqua è antichissima. il primo esempio pare risalga al 450 a.c. ad opera di tal messineo scilla, sotto il regno di atarserse in grecia, ma di lui non si seppe più nulla… ad alessandro magno nel 332 sembra debba essere attribuita la palma di “primo sommergibilista” della storia grazie ad una immersione effettuata in una campana di vetro (?).
dopo xviii secoli, leonardo da vinci rivendicò la paternità di un mezzo subacqueo militare ma siccome riteneva immorale uccidere qualcuno sul fondo del mare, non pubblicò i suoi studi. in un volume del 1580 opera dell’inglese william bourne già autore di un manuale di navigazione e cannoniere di sua maestà, propose un mezzo subacqueo destinato all’impiego bellico. il primo a realizzare un ordigno subacqueo fu l’italiano federico gianibelli che, dopo aver caricato un battello di esplosivo, fece saltare in aria un ponte durante l’assedio di anversa (1585). e con esso 800 assedianti…
la prima esperienza di cui esiste documentazione certa, è di molti secoli successivi e precisamente del 1624 ad opera dell’olandese cornelius drebbel, un alchimista (?) che nel 1623 sperimentò sul tamigi un sottomarino a remi navigando a 4-5 metri di profondità con un mezzo di legno mosso da 12 rematori. il sacerdote francese marin mersenne nel 1634 ipotizzava l’impiego di une mezzo costruito in rame, cilindrico e con le estremità coniche, resistente alla pressione e in grado di navigare in un senso o nell’altro senza dover accostare di 180°. il battello avrebbe avuto portello d’accesso e un congegno per l’osservazione (periscopio?), una serie di pompe per la circolazione dell’aria, ruote per camminare sul fondo e un cannone. un’altro francese de son, nel 1653 costruì un piccolo sommergibile con propulsione a ruota centrale che però una volta messo in acqua non riuscì’ nemmeno a muoversi in superficie. la fortuna arrise invece a denis papin, diventato però famoso per essere l’inventore della pentola a pressione, e a cristian huygens che perfezionando il progetto di drebbel costruirono diversi mezzi funzionanti. un sacerdote (un altro che ambiva a predicare sul fondo…) italiano, giovanni alfonso borelli, suggerì l’impiego di sacche di pelle di capra da riempire/svuotare per variare l’assetto. nathaniel symons nel 1747 costruì un battello che rimase sotto le acque del tamigi per 45 minuti. nel 1773 j.day costruì un mezzo subacqueo zavorrato da blocchi di pietra sganciabili, un sistema già obsoleto all’epoca.
ma il vero pioniere fu l’americano bushnell che nel 1775 costruì un piccolo battello, chiamato “turtle”, per posizionare ordigni esplosivi nell’opera viva delle navi avversarie. lo scafo era realizzato in rame, poteva trasportare una sola persona che doveva azionare a mano due eliche, una per la propulsione e una per la regolazione della quota. esisteva un piccolo timone, due recipienti per l’acqua di zavorra svuotabili mediante una pompa a mano, una zavorra fissa in piombo, una cassa staccabile contenente una carica esplosiva con congegno ad orologeria da applicare mediante una trivella sganciabile e bombole per aria respirabile. la tartaruga venne sperimentata da un operatore “volontario”, il sergente ezra lee, nella guerra di indipendenza americana ma non riuscì ad affondare nessuna nave nemica.
robert fulton progettò e costruì il “nautilus”. lo scafo era a forma di sigaro a sez. circolare di due metri di diametro con ossature in ferro e fasciame in rame. per la prima volta viene utilizzata una forma di scafo razionale agli effetti della resistenza strutturale e della resistenza al moto. il moto in immersione veniva realizzato attraverso un elica ad azionamento manuale. in superficie tramite una vela che al momento dell’immersione veniva abbattuta insieme all’albero in un vano apposito ricavato sulla coperta. per la prima volta troviamo un duplice e distinto apparato motore. per immergersi ci si avvale di un timone orizzontale (primo caso nella storia). come armamento, disponeva di un recipiente pieno di esplosivo che veniva rimorchiato. si immergeva in 2 minuti, navigava in immersione a 1,6 nodi e poteva rimanere sott’acqua 4 ore trasportando 4 persone. l’ammiragliato inglese e francese giudicarono immorale quest’arma e boicottarono lo sviluppo.
nel 1832 venne realizzato il “villeroi” francese, un sottomarino di 3 metri di lunghezza che non convinse sotto l’aspetto tecnico.
nel 1855 nasmyth costruì un sottomarino mosso da una macchina a vapore che navigava immerso ma con il fumaiolo fuori dall’acqua oltre ad un tubo per introdurre aria nello scafo. e’ la prima volta che viene usata una macchina a vapore ed è il primo tentativo di “snorkel”.
(segue...)

guardate se non ci voleva coraggio... il turtle...:eek:
 

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visto che in un'altro 3ad sono stato invitato a contribuire a distrarre dalle squallide vicende che ultimamente stanno caratterizzando ilforum, proseguo con la mia narrazione della storia della marineria sommersa.
per le domande fatte, sto preparando una risposta che spero sarà esauriente. solo che devo anche lavorare, quindi... un po' di pazienza. :tongue:

sopra e sotto le onde
10) …sotto le onde - un po’ di storia…(2^ parte)

...nel 1856 il polacco wilhelm bauer progettò e costruì in due anni alcuni piccoli sottomarini mossi da eliche azionate a mano in cui la regolazione della quota avveniva spostando longitudinalmente un peso. tra questi il “brandtaucher”, lungo 7 m e largo 2 con scafo metallico e 3 uomini di equipaggio. la propulsione avveniva tramite una ruota a pedali che, attraverso una serie di ingranaggi azionava l’asse di un elica. dopo due prove effettuate con successo, al terzo tentativo il brandtaucher, troppo pesante, si posò sul fondo del porto di kiel. dopo aver aspettato 3 ore che la pressione interna e quella esterna si equilibrassero, riuscirono ad aprire il portello effettuando la prima fuoriuscita di emergenza della storia. il brandtaucher rimase sul fondo fino al 1877. dal 1973 è esposto a dresda.
il geometra prussiano gustav winkler sviluppò un mezzo innovativo dotato di una macchina a vapore, timoni orizzontali, un rudimentale periscopio, serbatoi aria compressa. non venne sviluppato per mancanza di fondi
nel 1863 alstitt costruì in america un sottomarino mosso in superficie da una macchina a vapore ed in immersione da un motore elettrico alimentato da batterie. e’ il primo caso di applicazione dell’energia elettrica per la navigazione.
sempre nel 1863 burgeois e bru costruiscono il “plougeur”, primo grande battello. lungo 42,5 metri, largo 6, dislocava 453 tonnellate. si immergeva grazie a timoni orizzontali e un elica ad asse verticali. la propulsione avveniva grazie all’aria compressa. non soddisfò a causa della scarsa autonomia e alla scarsa stabilità.
nel 1862 il “david”, definito “silurante semisommergibile” attaccò la corazzata nordista “new ironsides” senza successo. già l’anno precedente il governo sudista aveva commissionato a un commerciate di zucchero dell’alabama, un battello lungo 6 m, con tre persone a bordo chiamato “pioneer” che venne autoaffondato per non farlo cadere in mani nordiste. un secondo “pioneer” affondò a causa del maltempo. nel frattempo anche i nordisti realizzavano il loro primo battello, l”alligator” del 1862 che affondò l’anno successivo sempre per il maltempo. un “david” migliorato attaccò nuovamente la corazzata “new ironside”. questa volta l’attacco riuscì e la nave venne gravemente danneggiata. un ulteriore “david” venne ricavato da una caldaia cilindrica modificata, ottenendo un o scafo lungo 12m. aveva un elica azionata a braccia da 8 uomini più uno alla manovra dei timoni orizzontali. come armamento aveva una torpedine rimorchiata da 43 kg. affondato durante le prove, con conseguente morte dell’inventore hunley, e tutto l’equipaggio, venne recuperato, ribattezzato “hunley” e, comandato da george dixon, attaccò la pirofregata nordista“housatonic” affondando a sua volta con tutto l’equipaggio.

due ingegneri inglesi, campbell ed ash, nel 1885 realizzarono un nuovo “nautilus” moso da due eliche a motori elettrici alimentati da batterie. per immergersi ed emergere, variava il volume esterno, e quindi la spinta, mediante dei cilindri scorrevoli perpendicolarmente al piano diametrale.
sempre nell’85 lo svedese nordenfelt costruì un mezzo navigante a vapore in superficie e in immersione. infatti aveva un grande serbatoio di acqua che, riscaldata dalla caldaia, accumulava vapore da utilizzare in immersione. i risultati furono scarsi a causa della bassa velocità raggiunta e della scarsa autonomia oltre alle temperature raggiunte all’interno dello scafo. la particolarità era l’armamento costituito da un siluro lanciato attraverso un apposito tubo.
la marina francese nel 1887 realizza il “gymnote” su progetto dell’ing. dupuy de lome. lungo 17,3 m, dislocava 17,3 ton. un motore elettrico da 55 cv alimentato da batterie. raggiungeva i 7 nodi in superficie e 5 in immersione. per la sua epoca fu un risultato notevole.
john holland e simon lake in america sperimentarono tra il 1875 e il 1894 diversi battelli. gli ultimi tipo holland da 105 tonnellate avevano il motore a ciclo otto ad essenza di petrolio. per la navigazione subacquea si avvaleva di un motore elettrico alimentato da batterie. i smg. holland furono macchine estremamente efficienti.
con l’avvento del motore a combustione interna si ritenne di aver risolto il problema della doppia navigazione. le possibilità fornite dal motore diesel portò ad una maggiorazione della riserva di spinta. nasce così il sommergibile di cui il prototipo è il “narval” progettato da m. lanberf per la marina francese. aveva un dislocamento di 120 tonnellate in superficie e 200 in immersione con una riserva di spinta quindi del 40%. lunghezza 34 m, larghezza3,5. scafo resistente interno e scafo leggero per avere forme idonee alla navigazione. l’acqua di zavorra era contenuta nelle casse ricavate tra i due scafi. il motore inizialmente a vapore con caldaia a combustibile liquido,fu sostituito da un motore a olio pesante. aveva due timoni orizzontali e due tubi lanciasiluri.

in italia il vero pioniere della navigazione subacquea fu l’ing. giacinto pullino che progettò il primo battello della nostra marina militare, il “delfino costruito presso l’arsenale di la spezia nel 1892. lungo 23,4 m, largo 2,86 con un dislocamento di 102 tonnellate in superficie e 113 in immersione. era mosso da un elica azionata da un motore elettrico da 30 kw alimentato da accumulatori. era armato con due tubi lanciasiluri in coperta. per l’immersione venivano utilizzate due eliche ad asse verticale e timoni orizzontali sistemati sui fianchi. in questo sottomarino si trovano per la prima volta alcune innovazioni. la torretta è realizzata in bronzo per ridurre i disturbi magnetici alla bussola, la protezione contro le artiglierie nemiche è realizzata mediante un raddoppio di 40 mm sullo scafo resistente e viene installata la prima bussola giroscopica. il delfino viene in seguito sottoposto a lavori di trasformazione ad opera dell’ing. laurenti. viene sostituito il motore elettrico con un gruppo motore a scoppio da 150 cv e moto dinamo da 50 kw. si migliora la regolazione della quota di immersione mediante l’installazione di 2 coppie di timoni orizzontali mossi da servocomandi idraulici. vengono sistemate bombole di aria compressa a 150 kg/cmq. si monta un periscopio e un “cleptoscopio” ideato dagli ingg. russi e laurenti. si installa un tubo lanciasiluri a prora.
grazie al delfino la marina italiana acquisisce un certa mole di dati e nozioni che le consentiranno di realizzare nuovi battelli. nel 1905 entra in servizio il “glauco” seguito da “otaria”, foca” e, “velella”. per aumentare la riserva di spinta, si passò dal semplice al doppio scafo. il dislocamento salì a 160 ton nel glauco, 165 il foca, 252 il velella (1911). l’armamento di due tubi lanciasiluri era sistemato nello scafo resistente. un grave incidente occorso sul foca nel 1909 a napoli causò la morte di 16 persone. l’incidente fu causato dall’esplosione dei vapori di benzina del motore. questo fatto sconsigliò l’uso dei motori a benzina tanto più che andava affermandosi il motore diesel. sul velella nel 1912 e sui mezzi seguenti, vennero installati motori diesel a due tempi da 660 cv che lo potevano spingere a 13 nodi.
ma da lì a breve, sarebbe cominciata prima guerra mondiale.
 
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per rispondere agli amici…
stabilità della nave, centro di gravità e centro di carena

la stabilità e l’attitudine di uno scafo a riprendere il suo assetto di equilibrio dopo le oscillazioni (rollio e beccheggio), provocate dal vento e dal moto ondoso.
si distinguono due stabilità; di forma (ottenuta con forme di carena arrotondate e piene) e, di peso (come nel caso delle imbarcazioni a vela medio-grandi mediante la zavorra collocata in chiglia per bilanciare gli sbandamenti e contrastare il ribaltamento, sono chiamati anch’essi bulbi ma solo per affinità di forma). in entrambi i casi la stabilità dipende dalla posizione di due punti particolari e caratteristici dell’imbarcazione, che sono:
– il “centro di gravità” detto comunemente baricentro (g), punto di applicazione della risultante costituita dai vari pesi che compongono la nave compreso il carico trasportato.
– il “centro di spinta” detto altresì centro di carena (c), ossia il punto d’applicazione della risultante di tutte le forze che la spinta dell’acqua esercita sullo scafo. infatti un’imbarcazione quando galleggia in acque tranquille si trova in equilibrio dovuto a due forze uguali e contrarie passanti per la stessa verticale: il peso p della barca e la spinta s. il peso è applicato sempre sul centro di gravità g, mentre la spinta passa sempre per il centro di carena c. la posizione di c varia al variare dello sbandamento della nave (questo è dovuto al fatto che cambia la forma della parte immersa dello scafo) mentre g anche a nave inclinata, non cambia la sua posizione.
dato che la forma dello scafo immerso cambia, il centro di carena c si sposta in c’ originando una nuova spinta verticale s; dall’azione della forza di peso p (sempre rivolta verso il basso) e di quella di spinta s (sempre rivolta verso l’alto) nasce una coppia di forze x, che tende a raddrizzare lo scafo fino a che g e c non vengono a trovarsi sulla stessa verticale. il punto d’intersezione della spinta verticale s, con il piano longitudinale di simmetria, si chiama metacentro (m) e rappresenta il limite di stabilità della nave. esso dovrà sempre sovrastare g per non invertire la tendenza della coppia di forze causando una tendenza al rovesciamento dello scafo.
stabilita di peso: quando uno scafo zavorrato in chiglia tende a sbandare, c si sposta di poco, g si abbassa notevolmente e aumenta la distanza x tra le due verticali g e c; si genera cos’ì un forte incremento al momento raddrizzante quindi grande stabilità. ecco il motivo per cui gli scafi a vela hanno il bulbo all’estremità della chiglia. (ok sam? poi per quanto riguarda la forma che si da al bulbo, aspetto l'intervento di un fluidodinamico...)
stabilita di forma. al contrario in uno scafo a sezione larga, piccoli sbandamenti causeranno grandi spostamenti di c ma anche in questo caso si avranno notevoli incrementi del momento raddrizzante dovuti all’aumento di x.
ci sono poi dei fattori che influenzano la stabilità: ad esempio dovendo imbarcare pesi notevoli si fa in modo che essi vengano disposti simmetricamente rispetto agli assi longitudinali e trasversali dello scafo e che siano sistemati sottocoperta più in basso possibile. occorre inoltre che in sentina non ristagnino liquidi, i quali, se presente in grandi quantità, si muovono provocando pericolosi sbandamenti. per questo motivo le navi destinate al trasporto di liquidi hanno delle paratie “anti sbattimento”.
per quanto riguarda la nave porta container, esiste una “tabella di carico” che stabilisce la disposizione dei pesi a bordo in modo che i pesi maggiori siano posizionati più in basso possibile compatibilmente con le esigenze di carico/scarico. in ogni caso le pile di container che vedi così alte sulle navi, sono costituite da i più leggeri se non addirittura vuoti. il comandante comunque, dispone di apposite casse zavorra da allagare o svuotare in modo di rimanere sempre nel limite della stabilità di peso.
funzione del bulbo
riprendo una parte del discorso precedente.
le resistenze al moto di una nave hanno tra le varie cause anche le resistenza di onda che è generata dalla differenza tra le pressioni che si originano a prua e a poppa. tale resistenza dipende dalla velocità, dalla lunghezza, dalla forma di carena (cioè l’angolo di penetrazione delle linee d’acqua) e dalla distribuzione del volume in senso longitudinale.
per questo motivo vengono utilizzati i bulbi di prora i quali modificano gli angoli di penetrazione e la distribuzione del volume.
fin qui quanto detto precedentemente, vediamo ora, “a gentile richiesta”, la cosa un po’ più nel dettaglio.
con il nome di "resistenza residua" si intende la somma tra la resistenza d’onda (indicata con rw) e la resistenza di scia o resistenza dei vortici, conseguente alla formazione di vortici creati dalla carena stessa e dalle "appendici". (indicata con rv).
le "appendici di scafo" sono: i timoni, le eliche, le alette di rollio ed, in generale, tutte le componenti della nave immerse nell'acqua ma esterne alla carena che provocano una resistenza aggiuntiva all'avanzamento.
per determinare la resistenza totale all’avanzamento rt, che non è possibile nonostante i continui studi in materia, calcolare matematicamente per le tante e complesse variabili in gioco, si ricorre a metodi sperimentali.

per prima cosa si costruisce un modello della carena della nave riproducendo fedelmente l'andamento delle cosiddette "linee d'acqua" del disegno nelle forme del modello.
le linee d'acqua rappresentano graficamente,le forme della carena come esse apparirebbero se lo scafo venisse sezionato da piani paralleli al piano di galleggiamento.
il modello si inserisce in una apposita struttura sperimentale chiamata "vasca navale". si tratta di una vera e propria “piscina”, lunga alcune centinaia di metri, larga alcuni metri e dotata di un “carroponte” su rotaie poste ai lati.
il modello, vincolato al carrello della vasca, viene rimorchiato ad una velocità corrispondente a quella prevista di progetto, tramite appositi strumenti (dei dinamometri) installati sul carroponte, si misura la resistenza totale che il modello incontra nell'avanzamento (queste misurazioni si ripetono per varie velocità, così da ottenere dei diagrammi nei quali la resistenza si rappresenta in funzione della velocità).
con i dati così ottenuti, si calcola la resistenza d'attrito del modello alle varie velocità.
si sottrae la resistenza d'attrito, così calcolata, dalla resistenza totale del modello misurata con le prove di rimorchio ottenendo in questo modo la resistenza residua del modello.
i dati così ottenuti vengono rapportati alla nave reale utilizzando i principi di similitudine meccanica.
e’ dimostrato che, ottenendo il rapporto fra la lunghezza della nave reale (ln) e la lunghezza del modello (lm) la resistenza residua della nave al vero (rrn) si ottiene moltiplicando la resistenza residua del modello (rrm) per detto rapporto elevato al cubo.
si calcola la resistenza d'attrito della nave in grandezza naturale (rf). la resistenza totale della nave è data dalla somma delle resistenze così calcolate.

la resistenza residua, al disopra di una certa velocità, è soprattutto resistenza d'onda (rw),
modesta alle basse andature ma, che varia con il cubo della velocità.
si può ridurre la rw applicando alla prora della nave una appendice chiamata "bulbo", il quale assume forme differenti, a seconda del tipo di nave cui è applicato. (vedi figura).
vennero eseguite delle applicazioni sperimentali che dimostrarono la validità delle soluzioni proposte tanto che oggi molte navi sono costruite con questa appendice beneficiando anche di una maggiore tenuta al mare.
naturalmente la resistenza di attrito risente negativamente della presenza del bulbo, visto che aumenta la superficie bagnata. ma, trattandosi di navi, occorre fare una valutazione dei pro e dei contro; valutazione che, come si diceva, nella maggior parte dei casi porta a pagare qualcosa in termini di resistenza d'attrito per guadagnare parecchio di più in termini di resistenza d'onda e di tenuta al mare.
l'unico modo di ridurne il valore di resistenza dei vortici consiste, nel limitare il numero delle appendici di carena, nel disegnarle in modo che siano per quanto possibile idrodinamiche.

ok? ciao raga...
 

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non mi è partito un allegato...
sorry
rimedio subito
 

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sopra e sotto le onde
11) e da noi?...nasce la marina militare italiana

dovendo fissare la data di nascita della marina militare italiana, essa non può essere che quella della proclamazione del regno d’italia il 17.3.1861 nella quale si fusero grazie ad un decreto di cavour del 1860 le marine sarda e toscana, e uno di garibaldi (come direttore delle province meridionali) la marina napoletana e siciliana più due unità pontificie di preda bellica catturate nel porto di ancona. il territorio nazionale fu diviso in tre dipartimenti con sedi genova, napoli e ancona.
alla data della proclamazione del regno, la flotta è costituita da 97 navi di cui 79 operative così divise: 22 a elica, 35 a ruote e 22 a vela alle quali devono essere aggiunte 6 cannoniere del garda.
nuove unità sono impostate nei cantieri italiani: le fregate corazzate di 2^ classe “principe di carignano”, “messina”, “roma”, “venezia”, “conte verde”, tutte con scafo in legno. le due fregate corazzate di 1^ classe, il “re d'italia” e il “re di portogallo” sono commissionate negli stati uniti. dai cantieri francesi vengono varate le fregate corazzate “ancona”, “castelfidardo”, “maria pia” e “san martino”; le corvette corazzate “formidabile” e “terribile”; le cannoniere corazzate “palestro” e “varese”. in gran bretagna é commissionato l'ariete-corazzato “affondatore”, una delle prime navi a torri della storia navale. nel breve periodo intercorso tra l’unificazione e la terza guerra di indipendenza, la marina si dotò di un certo numero di corazzate che però non poterono evitare l’insuccesso di lissa, causata principalmente dalla scarsità di addestramento per la troppo giovane marina italiana. essa però si riprese grazie agli ammiragli riboty e pacoret de saint bon e del generale brin. cavour elabora un programma che prevede lo scioglimento dei ministeri di marina di napoli e di sicilia, la riorganizzazione di tutto il personale militare e civile, la costituzione di tre dipartimenti marittimi (genova, napoli, ancona) e la costruzione, a la spezia, di un moderno ed efficiente arsenale. in questo periodo verranno progettate e costruite 14 navi corazzate oltre ad un grande numero di unità minori.
sette di queste corazzate, le 5 classe duilio e le 2 classe italia, rappresentarono un ardita rivoluzione nel campo della tecnica navale. per quei tempi erano navi enormi, tra le 12000 e le 16000 tonnellate e con un tale potenza di fuoco che si riteneva che la duilio da sola, potesse distruggere l’intera flotta americana.
la corazzata “caio duilio” venne varata l'8 maggio 1876. aveva una lunghezza fuori tutto di 109,2 m., lunghezza fra le perpendicolari 103,5, larghezza 19,7, immersione 8,8 per un dislocamento di 11.138 tonnellate. l’armamento era composto da 2 torri binate da 450/20, 35 cannoni di vari calibri minori e 3 lanciasiluri. l’apparato motore sviluppava una potenza di 5.750 kw che spingeva la nave a una velocità di 15 nodi e con una autonomia di 3.000 miglia nautiche.

con il passare degli anni, nonostante le altre marine crebbero superando in tonnellaggio la marina italiana, le nostre costruzioni continuarono a distinguersi per la genialità di alcune soluzioni. un’altra rivoluzione tecnica era stata infatti introdotta dal generale cuniberti, la nave da battaglia monocalibro.

durante la sua storia, la marina italiana ha contribuito allo sviluppo delle radio telecomunicazioni con le esperienze di marconi a bordo di varie unità, nei primi del 900, la marina sperimentò la preparazione dei suoi reparti nella difesa delle delegazioni occidentali durante la rivolta di pechino, nella guerra contro l’impero ottomano le forze navali e i reparti da sbarco del comandante cagni occuparono tripoli ottenendo la prima medaglia d’oro al valor militare. il 18 luglio 1912, 5 torpediniere comandate dal c.v. millo, entrarono dai dardanelli tra la flotta ottomana, precorrendo i tempi dei mas della prima guerra mondiale con i quali gli arditi italiani scrissero pagine eroiche con le imprese di trieste, premuda, durazzo e pola e della seconda guerra, con i mezzi d’assalto che compirono le imprese di alessandria, gibilterra, sudan e algeri.
nell’autunno del 1915, l’esercito serbo dovette ripiegare verso i porti albanesi dove la marina italiana trasse in salvo 260000 uomini che furono così potuti essere impiegati nuovamente sul fronte macedone. nell’ottobre del ’17, il fronte terrestre italiano si spostò dall’isonzo al piave e l’ala destra dell’esercito era costituita dalla terza armata del duca d’aosta che contemplava una brigata di marinai costituita da un raggruppamento di artiglieria navale. questo reparto diventerà famoso con il nome di “reggimento san marco”.

corazzata roma cantiere: arsenale di la spezia
impostazione: 1903; varo: 1907; completamento: 1908; perduta: 1927
dislocamento: normale: 12.791; tonn. pieno carico: 13.950 tonn.
dimensioni: lunghezza: 144,6 ( f.t.) - 132,6 ( pp.); larghezza: 22,4 mt.
immersione: 8,5 mt.
apparato motore: 18 caldaie 2 motrici alternative; potenza: 20.000 hp
velocità: 22 nodi
combustibile: 1.000 tonn. di carbone; autonomia: 9.000 miglia a 10 nodi
protezione: verticale: 250 mm.; orizzontale: 100 mm.
artiglierie: 250 mm.; torrione: 250 mm.
armamento: 2 pezzi da 305/40 mm.; 12 pezzi da 203/45 mm; 16 pezzi da 76;
10 pezzi da 47 mm.; 2 mitragliere; 2 tubi lanciasiluri da 450 mm.
equipaggio: 700
 

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